C’è una linea sottile, ma invalicabile, tra il dissenso democratico e l’aggressione sistematica allo Stato. Quanto accaduto recentemente in Val di Susa impone una riflessione netta: quella a cui assistiamo non è più manifestazione di opinioni contrarie a un’opera pubblica, ma un’azione coordinata e premeditata che sfocia in attacchi fisici, incendi dolosi e sabotaggi. Il tutto, spesso coperto da una retorica ambientalista di facciata e da un silenzio complice di ampi settori della politica e dell’informazione.
Non può esserci ambiguità quando la legalità viene messa a rischio. La pretesa di trasformare l’odio verso le forze dell’ordine in una battaglia culturale o “di popolo” è una mistificazione pericolosa. In nome di un presunto ideale collettivo, si giustificano comportamenti che mirano a intimidire chi lavora per garantire ordine e sicurezza.
Ancora più grave è il moralismo selettivo che anima parte del dibattito pubblico: indignazione a corrente alternata, giustificazioni a senso unico. Dove sono le prese di distanza nette da parte di chi siede nelle istituzioni? Dove la solidarietà piena e incondizionata verso donne e uomini in divisa, colpiti da pietre, bottiglie incendiarie e insulti?
Difendere lo Stato non significa negare il diritto a manifestare. Ma vuol dire ribadire con forza che la libertà di espressione non autorizza alcuna forma di violenza. Il disordine, il caos, l’offesa sistematica all’autorità democratica non sono strumenti di partecipazione, ma segnali di degenerazione.
In una democrazia autentica, ogni diritto convive con un dovere. E il primo dovere è quello di non voltarsi dall’altra parte quando la violenza si maschera da ideologia. Perché il silenzio, in certi casi, equivale a complicità.
Condividiamo pienamente il pensiero espresso da Giuseppe Tiani nel suo articolo pubblicato su “L’Identità” sul tema della violenza in Val di Susa,pagina del quotidiano L’Identità del 1 agosto 2025 , una riflessione lucida e coraggiosa che dà voce a chi ogni giorno difende lo Stato democratico