Cari Colleghi,

a seguito della circolare di cui in epigrafe, questa Associazione ha effettuato un approfondimento, finalizzato a consentire a voi tutti di decidere con la necessaria consapevolezza come orientarsi in merito alla non semplice questione evidenziata.

Auspicando di farvi cosa gradita, riassumiamo di seguito i punti fondamentali da prendere in considerazione nel decidere cosa sia meglio fare.

Per chi è stato assunto a far data dal 1° gennaio 1996, privo di anzianità contributiva precedente, la Legge 335/1995 (Legge Dini) prevede che, superato l’importo previsto, non deve essere trattenuta e versata la contribuzione relativa alla parte di reddito (imponibile pensionistico) che supera tale importo.

Non sono interessati coloro che possono vantare contribuzione anteriormente al 1996.

L’imponibile pensionistico può essere verificato nel CU (certificazione unica dei redditi rilasciata dall’Amministrazione e disponibile sul sito NoiPa), alla sez. 2 della pagina (4), relativa ai dati previdenziali ed assistenziali, voce 18 “IMPONIBILE PENSIONISITICO”, cui corrisponde, a seguire, l’importo dei “contributi pensionistici dovuti” in ragione del 33% dell’imponibile pensionistico citato. Tali contributi, anno dopo anno, alimentano il montante complessivo, che alla fine della carriera, opportunamente attualizzato, costituirà la base di calcolo su cui sarà applicato il coefficiente di trasformazione stabilito in funzione dell’età del dipendente interessato e periodicamente aggiornato in funzione dell’aspettativa di vita (attualmente e fino a tutto il 2024, per i sessantenni, il coefficiente in questione è del 4,615%). Applicando tale coefficiente al montante rivalutato alla fine della carriera si ottiene il corrispettivo importo annuo (13 mensilità) dovuto dall’INPS, cioè la pensione spettante.

Es. un Primo Dirigente assunto il 01/01/1996 che raggiunge il limite di età (60 anni) il 31/01/2027 avrà accumulato un montante contributivo complessivo di euro 1.120.000 (per ipotesi approssimata, perché ognuno ha la sua personale storia contributiva), cui corrisponderà un importo annuo lordo di (euro 1.120.000 x 0,04615%) euro 51.698,00 lordo, per 13 mensilità di pensione.

È evidente che tanto maggiori sono i contributi pensionistici dovuti e tanto maggiore sarà il montante contributivo al termine della carriera e, conseguentemente, l’importo della pensione.

Ma il legislatore del 1995 (L. 335/95) ha posto un limite al versamento dei contributi pensionistici oltre un determinato ammontare “dell’Imponibile Pensionistico”, opportunamente indicato anche nella Circolare della Direzione Centrale di Ragioneria prot. N.  42804 del 02/08/2023. Per l’anno in corso tale limite è di euro 113.520,00. Ciò significa che, se per ipotesi (e ciò accade per molti funzionari, soprattutto alla fine della carriera), tale importo viene superato, la parte eccedente non produce contribuzione.

Si sottolinea che il calcolo della contribuzione è stabilito, come già detto, in ragione del 33% “dell’imponibile pensionistico”, ma le norme stabiliscono che, di tale importo, il 24,20 % (la maggior parte) è a carico dell’Amministrazione, mentre il restante 8,80% è a carico del dipendente.

Si intuisce così che, se è vero che a fronte di un versamento non dovuto il dipendente riceve direttamente in busta paga l’8,80% (ma a tal punto tale importo diventa imponibile IRPEF in ragione dell’aliquota marginale -43%-), l’Amministrazione non versa la sua parte, cioè il 24,20% con un conseguente depauperamento del montante contributivo a danno dell’importo finale della pensione (peraltro, in tal modo l’erario consegue un doppio risparmio, cioè quanto non versato e quanto imposto con l’IRPEF sul versamento non dovuto dal dipendente).

Ad es., se “l’imponibile pensionistico” per l’anno 2023 fosse di euro 129.250, 00, applicando la regola del massimale contributivo, il prelievo di contributi sarebbe applicato solo all’importo limite previsto, ossia euro 113.520,00; mentre alla differenza (di euro 15.730,00) non sarebbe applicato il prelievo, ossia:

  • Euro 1384,24 (8,80%) a carico del dipendente che vanno in busta paga, ma automaticamente gravano a questo punto sul reddito imponibile IRPEF in ragione dell’aliquota marginale -43%- (per cui al netto in busta paga il dipendente percepirebbe una somma quasi dimezzata rispetto all’importo lordo indicato);
  • Euro 3.806,24 (24,20%) non versati dall’Amministrazione, con notevole risparmio per l’erario.

L’ammanco annuo sull’importo della pensione che deriverebbe da tale ipotesi di mancata contribuzione è pari a (1.384,24 + 3.806,24 = euro 5.190, 48 x 4,615% a 60 anni) euro 239,54.

È ovvio che ciascuno deve valutare la convenienza dell’opzione che oggi viene proposta ed indicata nella circolare citata. Tale opzione consente di essere esclusi a domanda dal meccanismo vigente del massimale contributivo (in vigore dal 1996) e, conseguentemente, di far sì che tutto l’imponibile pensionistico produca il corrispettivo versamento contributivo del 33%, con indubbi benefici sul trattamento pensionistico, soprattutto riguardo alle distorsioni che l’applicazione del meccanismo del massimale contributivo potrebbe provocare sul c.d. “moltiplicatore” (versamento finale pari a 6 importi dei contributi dovuti per l’ultimo anno di servizio).

In sostanza, meglio l’uovo oggi o la gallina domani?

Noi siamo decisamente per la seconda opzione! Per cui consigliamo ai colleghi di produrre la domanda per essere esclusi dal meccanismo del massimale contributivo imposto dalla “legge Dini”.

Roma, 25.9.2023

MASSIMALE CONTRIBUTIVO ESSERE INFORMATI

LA CIRCOLARE – MASSIMALE CONTRIBUTIVO – ESCLUSIONE OPZIONALE