La diffusa percezione di insicurezza sembra aver indotto il legislatore, nell’anno 2008, sia ad autorizzare l’impiego dei militari nell’operazione “strade sicure”, sia a conferire ai sindaci il potere di ordinanza in materia di sicurezza urbana, che – nell’impostazione voluta dal legislatore, prima dell’intervento della Corte costituzionale – era talmente ampio da determinare il concreto rischio che si producesse uno “strappo” ordinamentale.

Infatti, consentendo l’emanazione di provvedimenti a tutela dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana, anche in assenza di situazioni di necessità ed urgenza, si attribuiva di fatto al sindaco – in violazione del principio di legalità sostanziale – il potere di incidere, attraverso l’imposizione di comportamenti, su un ambito che attiene alla “generale sfera di libertà dei consociati”, secondo una discrezionalità sostanzialmente illimitata e priva della necessaria base legislativa.

In merito, occorre rilevare che nell’attuale contesto, complice un certo modo di fare informazione, si è amplificata l’idea che la sicurezza sia assai carente a livello locale. Il che spiegherebbe la tiepida accoglienza che è stata riservata alla sentenza n.115 della Corte costituzionale del 2001, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, nella parte in cui comprendeva la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”. Rimane comunque inalterato, anche dopo la sentenza, il potere del sindaco di emanare provvedimenti contingibili e urgenti con atto motivato, per prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano non solo l’incolumità pubblica, ma anche la sicurezza urbana. Oggetto, quest’ultimo, ritenuto dalla Corte del tutto insufficiente a soddisfare il principio della riserva di legge, poiché definito in un decreto del ministro dell’Interno che, pur potendo indirizzare l’azione del sindaco, in quanto ufficiale del governo, nell’emanare le ordinanze, non è un atto avente forza di legge e non è quindi sufficiente a circoscrivere l’esercizio della discrezionalità amministrativa del sindaco.

Occorrerebbe, peraltro, risolvere la questione relativa al rapporto che intercorre tra i beni-interessi protetti nelle categorie “ordine pubblico e sicurezza” – materia, questa, di esclusiva competenza statale – nella sfera che attiene alla polizia amministrativa – di competenza regionale – ed infine nella sicurezza urbana. Il dibattito in dottrina è aperto e i nodi restano tutti irrisolti.

In proposito i sociologi del diritto direbbero probabilmente che il decreto legge 23 maggio 2008, n.92, che come si è detto ha modificato l’art.54 del Tuel, introducendo la nozione di sicurezza urbana, sembra essere una “legge-manifesto”, ossia un intervento legislativo che in realtà non reca alcun reale contributo alla soluzione del problema cui dichiaratamente vorrebbe far fronte e che permette solo ricadute ideologiche o propagandistiche.

Peraltro, i nuovi poteri del sindaco contengono in re ipsa riflessi d’incertezza sugli aspetti organizzativi e funzionali dell’Amministrazione di Pubblica sicurezza.
Infatti, il comma 9 dell’art.54 del Tuel, affida al prefetto il compito di disporre le misure ritenute necessarie per il concorso delle Forze di Polizia al fine di assicurare l’applicazione dei provvedimenti adottati dal sindaco. Questo compito, nella stesura iniziale del decreto legge 12 novembre 2012, n.187 che l’ha introdotto, era un dovere vincolante per il prefetto, poi modificato in una facoltà discrezionale con la legge di conversione.

Se non fosse intervenuta la modifica, ci saremmo trovati di fronte ad un mutamento sostanziale del sistema delle Autorità di pubblica sicurezza a livello locale con l’introduzione, nello stesso ambito di competenza territoriale, di una terza Autorità di pubblica sicurezza, quella del sindaco, in grado di vincolare alle proprie scelte in tema di sicurezza urbana, quelle del prefetto e del questore, rispettivamente con funzioni politico-generali e tecnico-operative a livello provinciale (ai sensi degli art.13 e 14 della legge 21 aprile 1981, n.121).

In merito si osserva altresì che l’art.8 del d.l. n. 187/2010, nella stesura originaria, è rimasto in vigore dal 13 novembre al 17 dicembre del 2010, un periodo questo in cui, non essendo ancora intervenuta la sentenza n.115 del 2011 della Corte Costituzionale, vi era il concreto pericolo che si producesse un vulnus nelle garanzie costituzionali in tema di sicurezza, con particolare riferimento alla riserva di legge sulla prescrizione di comportamenti personali ed all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, poiché gli stessi comportamenti avrebbero potuto essere ritenuti variamente leciti o illeciti a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenze dei sindaci. Nei comuni ove fossero stati ritenuti illeciti vi era, inoltre, la possibilità dell’uso della Forza pubblica. Obbiettivo, quest’ultimo, perseguito dalla politica trasversale dei cosiddetti sindaci-sceriffo.

Per evitare tali effetti distorsivi occorre sviluppare l’indicazione di Antonio Manganelli, tenendo ben distinte «l’area ed il perimetro della sicurezza urbana da quelli dell’ordine e della sicurezza pubblica, risultando contenitore di una serie diversa di cose: disagio sociale, degrado, disadattamento, abusivismo, contraffazione, tutte cose, tuttavia, che, pur non rientrando nelle competenze dell’Autorità di pubblica sicurezza e delle Forze di polizia, sono comunque causa di insicurezza, generano paura. La sicurezza urbana, dunque, fa riferimento ad un aspetto del concetto lato di sicurezza, distinguendosi dall’ordine e dalla sicurezza pubblica affidate alla cura dell’Autorità di pubblica sicurezza e delle forze di polizia» nell’ambito della disciplina vigente.

l logico sviluppo di quest’indicazione porta ad inquadrare i poteri di ordinanza sindacali nella disciplina della polizia amministrativa. L’impostazione trova conferma osservando i dati sulle stesse ordinanze: tra il 2008 e il 2009 in 445 Comuni sono state circa 800 le ordinanze sulla sicurezza urbana emesse dai sindaci, più frequenti nelle città più grandi rispetto ai Comuni di piccole e medie dimensioni. Circa i contenuti, si registra al primo posto il problema del consumo di bevande alcoliche seguito dalla vendita di bevande, dal vandalismo e dal decoro, dal disturbo della città. Si continua, poi, con l’abbandono dei rifiuti e la prostituzione.

Si tratta, quindi, di provvedimenti volti a contrastare il degrado, le cosiddette incivility, le aggressioni al decoro e al patrimonio urbano, intervenendo sulla viabilità, sul commercio, sull’utilizzo delle strade e degli spazi pubblici, in modo da impedire che il contesto urbano possa favorire comportamenti devianti o di rilevanza penale.

Si avverte il rischio che l’indebita commistione tra la gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica a livello locale ed i circuiti politico- elettorali, possa incidere negativamente sul concreto esercizio dei poteri di ordinanza, che finirebbero con l’essere utilizzati per finalità demagogiche, per assecondare estemporanee esigenze di una comunità che si vuole conquistare, indipendentemente da una ragionata valutazione delle esigenze del territorio.

Va infine evidenziato che il legislatore, con il d. l. n.92 del 2008, senza approfondire gli interessi in gioco, fornì un sollievo a quella che è stata definita la frustrazione istituzionale dei sindaci, aggravata dai tagli dei trasferimenti di risorse finanziarie, dai patti di stabilità che spesso non consentono alcuna agibilità ai primi cittadini, mettendo a loro disposizione uno strumento di facile impiego, volto ad intervenire su uno dei settori ritenuti strategici in ogni campagna elettorale, continuamente enfatizzati in una sorta di bombardamento mediatico.

Roma, 30 ottobre 2013

Enzo Marco Letizia