64-italiaSicurezza pubblica e PIL
Al di là degli aspetti etico-politici e di quelli giuridici, occorre ricordare che dal 1993, nel sistema di contabilità delle Nazioni Unite (SNA93), e dal 1995 negli organismi comunitari europei (SEC95) si è stabilito di scomporre l’aggregato del PIL in due aree: economia “documentata” e economia “non osservata”. Quest’ultima si suddivide in tre macro componenti: 1) valore aggiunto da attività illegali; 2) reddito legale da economia “nel sommerso”, cioè da attività non registrata o non rilevata dalla pubblica amministrazione ; 3) reddito da “economia informale”, derivante cioè da impieghi senza nessuna organizzazione, né distinzione tra lavoro e capitale, come da rapporti di lavoro occasionali e per il tramite di vincoli di parentela o di relazioni personali, che si protraggono anche senza contratti formali.
Fin dall’anno 2000 l’UE ha incluso nel dimensionamento del PIL anche le componenti che derivano dall’economia sommersa e da quelle attività illegali che non abbiano meri effetti ridistributivi. In altre parole, se le rapine, i furti e le estorsioni rappresentano delle sottrazioni di valore dai legittimi detentori, che viene così collocato presso chi compie il reato di primo livello, al contrario la criminalità che traffica sostanze stupefacenti, eroga prestiti e finanziamenti abusivi o commercia tabacchi lavorati esteri in contrabbando, genera valore aggiunto illegale. Analogamente, utilizzando parti di reddito proveniente da attività illegali per investimenti formalmente legali, la criminalità incrementa il reddito agendo sull’intero ciclo di creazione del valore e non limitandosi a intervenire sui soli terminali della ricchezza.
Ecco dunque l’avvio ben fondato di un quesito che è sorto nella considerazione di quanto le regioni meridionali d’Italia abbiano conosciuto un valore più attenuato dell’andamento recessivo. L’UE include nelle statistiche comparative della ricchezza anche la stima di quella componente “non ufficiale”, ma impattante sulle dinamiche dei mercati, compresi quelli finanziari.
Contabilizzare dunque il valore aggiunto da attività illegali è un’operazione di tutt’altro senso che un’analisi teorica o un’esercitazione accademica: interessa direttamente la possibilità dello Stato di disporre di risorse finanziarie, poiché dalla inclusione della ricchezza criminale, insieme alla produzione dell’economia sommersa, nella valutazione contabile (come per l’appunto richiesto da SNA93 e SEC95) derivano i calcoli delle quote della ripartizione dei fondi comunitari e degli oneri per ciascuno stato membro dell’Unione.
Non vi è solo questa conseguenza penalizzante, in sede di regole internazionali e segnatamente della Unione Europea. Il secondo effetto della produzione di beni e di servizi dei settori non registrati della economia (quella illegale più quella legale-sommersa) è che tutti i costi dovuti alle esternalità negative (che sono generate, in misura differente, comunque da ogni settore economico) sono interamente “socializzati” e posti a carico della fiscalità generale. Nessun onere, infatti, grava sulle imprese in nero per infortuni occorsi al personale impiegato, per inquinamento ambientale e per riversamento nel territorio dei residui e degli scarti della lavorazione manifatturiera, delle costruzioni edilizie, delle attività artigianali (per esempio con il mancato smaltimento degli olii minerali e simili) e per congestione del traffico eccetera. Tali esternalità negative sono assolutamente sopportate dalla società e dall’amministrazione pubblica.
Egualmente le attività criminali “non ridistributive” (vale a dire quelle che non sottraggono direttamente beni e ricchezza mobile ai legittimi detentori ) e quindi, teoricamente, “senza vittima” (quali contrabbando, commercio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo) generano valore e riversano i costi sulla società (tossicodipendenze ecc.).
Per completezza di quadro occorre valutare che anche la corruzione incide con una pluralità di effetti sul Prodotto Interno Lordo . A questo proposito è necessario “considerare i nessi dinamici fra corruzione e possibilità di crescita dell’economia tenendo conto degli effetti di retroazione delle attività appropriative legate alla corruzione sull’evoluzione delle istituzioni economiche. Se ne trae che anche il criterio dell’efficienza, fino a poco tempo fa invocato dagli economisti come criterio “superiore” a quelli legale, morale e funzionalista, non è in grado di soddisfare appieno le nostre esigenze conoscitive” (Zamagni).
Il rilievo dunque delle interazioni tra sicurezza pubblica e congiuntura economica non è una novità dell’ultima ora, ma non di meno la questione è costantemente omessa nel commento che quotidianamente avviene nelle sedi politiche e nell’opinione pubblica. Per esempio appare ancora scarso il rilievo che ottiene la differenziazione analitica quando si esaminano i dati per le decisioni di bilancio nazionale, per la stesura della legge finanziaria annuale e per documento di programmazione (DPF).

Leggi il Rapporto della Direzione Investigativa Antimafia (Cap. Antiriciclaggio pg. 411-447).

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