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Con il nome di Milleproroghe si definisce per tradizione un decreto legge del Consiglio dei Ministri volto a prorogare o risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno in corso.
Il governo in carica, non si sa se in ritardo o in anticipo sulla scadenza tradizionale, ha licenziato quello che è stata definito addirittura dal Colle un gran pasticcio con norme “troppo eterogenee” e non coerenti con la Costituzione. Ma i commentatori più maliziosi e le forze di opposizioni non si sono fermati a giudizi di congruità e a critiche formali o sostanziali. L’accusa poco velata è che la logica che ha mosso a mettere insieme un corpus pesante e viziato da occasionalità ed estemporaneità e dotato dalla potenza muscolare e dagli effetti spesso iniqui di una vera e propria legge finanziaria, sia stata quella di rispondere alle richieste di svariate lobby, a vari portatori in interessi magari anche legittimi, ma non legittimati ad essere prioritari, in quanto corporativi e poco rappresentativi di istanze e necessità generali.
Per quanto ci riguarda guardiamo a questo atto del governo con le stesse riserve con le quali abbiamo guardato agli interventi di politica finanziaria. Perché si riconfermano un approccio e una visione dei problemi del paese che ci inquietano come lavoratori particolarmente penalizzati ma anche come cittadini le cui aspettative cruciali vengono disattese.
I modi delle scelte ripetutamente compiute dal governo sono esplicitamente ormai indirizzati – c’è da temere consapevolmente – verso una depauperamento del parlamento. Sono quindi il segnale di una pericolosa china istituzionale nella quale trovano spazio l’indifferenza per i diritti e per la separazione dei poteri, la sottovalutazione irrispettosa per le procedure, i tempi delle decisioni, i controlli, la dialettica con le forze di opposizione. Per rafforzare invece un contesto fisiologicamente incline alla personalizzazione, alle concentrazioni, alla democrazia di investitura, all’antiparlamentarismo.
E c’è anche un altro aspetto che qualifica le scelte del governo come poco attente alle ragioni della partecipazione in sostanza della democrazia. Ed è quella sostanziale inazione ed impotenza, a fronte di una poderosa muscolarità propagandistica da perenne campagna elettorale, che lascia incancrenirsi le situazioni di crisi che così in tempi rapidi si trasformano in emergenze, governabili solo mediante misure eccezionali, poteri speciali, fondi straordinari. Rafforzando una personalizzazione della politica e della gestione della cosa pubblica delegata alla estemporaneità come metodo, all’occasionalità come sistema, alla straordinarietà come abitudine consolidata.
Si tratta di un atteggiamento che innerva il cosiddetto Mille proroghe ma che è stato esaltato e adottato in modo generalizzato in tutta l’azione di governo.
E che nella maggior parte dei casi provoca una serie di effetti che ricadono pesantemente sui soggetti incaricarti di governare o fronteggiare le emergenze. Primi tra tutti le forze dell’ordine, che rappresentano, l’ultimo anello il più vulnerabile della catena dei poteri e delle competenze, soggetta a fare da parafulmine, da capro espiatorio oltre che da pelle di zigrino tirata in tutti i sensi per coprire inazione e ritardi.
Pur attribuendo alla sicurezza intesa anche come gestione del rischio e delle situazioni di crisi oltre che mantenimento delle condizioni di armonica convivenza democratica, un ruolo prioritario e collocandola tra gli obiettivi dell’agenda di governo, è stata dimostrata un colpevole indifferenza per la predisposizione di una strategia coordinata, per la promozione di una sua cultura e per una politica finanziaria che la rafforzi e la consolidi.
E questo non riguarda solo servizi, infrastrutture e formazione ma anche una corretta programmazione di interventi e una risposta efficace alle legittime esigenze delle forze dell’ordine, alle loro aspettative non solo per quanto riguarda le remunerazioni umilianti per soggetti che prestano la loro opera in condizioni di rischio e fino al sacrificio ma anche per quanto attiene alle giuste rivendicazioni di riconoscimento della professionalità, della competenza in vista dei grandi rivolgimenti prodotti dalla globalizzazione e dalla modernità. Mentre si ignora la sicurezza, è vergognoso che nel milleproroghe ci si occupi della sanatoria del manifesto selvaggio, tipica violazione dei partiti, nonché si ripristinano, con 30 milioni di euro, i fondi per l’editoria cassando il divieto d’incrocio tra TV e stampa a decorrere dalla fine di marzo. E’ evidente a tutti che sono dei provvedimenti che favoriscono il maggior gruppo della televisione commerciale italiana.
Fino ad oggi il governo ha usato tecniche dilatorie e di rinvio: con la manovra finanziaria di luglio i due ministri competenti, Maroni e la Russa, si impegnarono personalmente rassicurando i poliziotti sulla volontà del Governo di garantire la specificità al comparto sicurezza. Si trattava dell’ennesima promessa destinata ad essere disattesa e come in una tela di Penelope alle promesse del giorno seguiva l’inazione della notte. Da settembre in poi l’esecutivo ha rinviato ogni decisione e delegato l’adozione di misure economiche al provvedimento successivi. La norma riparatrice del danno di luglio è così passata senza alcun risultato dalla conversione in legge del decreto sicurezza di dicembre al mille proroghe del mese di febbraio fino ad un ipotetico decreto legge sull’immigrazione. A luglio la Camera si era impegnata a fronteggiare le problematiche legate alla specificità del comparto sicurezza-difesa e delle peculiari esigenze del soccorso pubblico, istituendo il fondo speciale con una dotazione di 80 milioni di euro annui per il 2011 e il 2012 destinato al finanziamento di misure perequative per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in tema di adeguamenti istat, scatti e promozioni. Però fin’ora il relativo DCPM attuativo non è stato emanato poiché i fondi stanziati sono insufficienti per le esigenze previste dalla legge.
A settembre il Governo, nel confermare la paradossale contraddizione che aveva ispirato gli ultimi atti parlamentari, rinviava l’adozione di misure economiche a uno strumento
legislativo d’urgenza, per finanziare le eventuali deficienze, aprendo in tempi ragionevolmente contenuti un tavolo tecnico presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione per dare rapido impulso all’istituzione di forme di previdenza complementare in ambito Comparto.
Di fronte ad una situazione interna e alla pressione formidabile che imprimono gli eventi internazionali a noi molto vicini, ancora una volta le esigenze legittime degli agenti, dei militari, degli ufficiali e dei funzionari di polizia, non vengono soddisfatte da parte del Governo – che continua a promettere e non mantenere gli impegni assunti con quegli uomini che quotidianamente fanno dire al Ministro dell’Interno e alla maggioranza che in questi anni si sono raggiunti successi contro la criminalità diffusa ed organizzata, mai raggiunti prima.
Il teatro dove si consuma il paradosso di un governo che virtualmente si preoccupa della sicurezza, che concretamente sembra alimentare quella paura e quella diffidenza nei confronti degli altri che è l’anticamera di timori e epiloghi violenti di antagonismi e conflitti e che operativamente disillude le aspettative di chi la sicurezza la dovrebbe garantire, è rappresentato dalla discussione parlamentare per il DL sulla sicurezza, nella quale si mette in scena l’amara recita di un atteggiamento miope, fatto di tecniche degne “del gatto e della volpe” per il non riconoscere la specificità di un comparto professionale indispensabile allo svolgersi della vita democratica.
A riguardo, tutti ricorderanno che il governo, a metà dicembre, ha ordinato agli stessi deputati della maggioranza di ritirare l’emendamento che avrebbe soddisfatto il personale della sicurezza dall’agente al dirigente generale. E così, in barba ad ogni aspettativa, torna nel cassetto l’interpretazione delle componenti della retribuzione che dovrebbero essere escluse dal taglio della manovra di luglio (l’indennità pensionabile delle forze di polizia, l’assegno funzionale, l’assegno di valorizzazione dirigenziale e il trattamento economico superiore correlato all’anzianità di servizio senza demerito, compresa quella nella qualifica e nel grado, gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni, le indennità per trasferimento, missione e presenza qualificata in servizio, le altre retribuzione riferite al trattamento accessorio, le indennità perequative e di posizione).
Non possiamo che trarre una conclusione amara. Viviamo una condizione nella quale il tema della tutela dell’interesse generale sembra valere solo come strumento propagandistico da ributtare sul tappeto a scopi elettoralistici. Ma sembra essere uno degli effetti della spettacolarizzazione della politica e della rappresentazione della vita nazionale come fosse uno sceneggiato televisivo. Peccato che sia difficile immaginare un lieto fine: perché con questo depauperamento delle risorse, unito all’indifferenza per la messa a punto di una strategia complessiva sulla sicurezza fatta anche di istruzione, formazione, professionalità, cura delle competenze, sarà sempre più arduo invertire le pericolosissime tendenze in atto.
Quando intere regioni sono in balia della malavita organizzata, quando la corruzione dilaga a tutti i livelli divorando risorse, compromettendo il bilancio del sistema paese, creando una disaffezione alla politica che allontana sempre più i cittadini da qualsiasi forma partecipativa, stravolgendo i livelli di tolleranza dell’illegalità, il colpevole disinteresse del governo contribuisce a quel processo di erosione del futuro innescato certo dalla crisi economica ma che ormai è diventato in larga parte un’emergenza morale. E che ancora di più è incrementato dal concorrere di un clima inquietante di sottrazione di autorevolezza e credibilità delle istituzioni e dei poteri, mediante la promozione dei atti e interventi legislativi discutibili e mirati a rendere sempre più confuso e ingovernabile il contesto della sicurezza e della giustizia, dai provvedimenti sulle intercettazioni, al processo breve, fino alla mini prescrizione per una Cirielli bis.

Roma, 3 marzo 2011

EDITORIALE