Uno studio della Banca d’Italia basato sui fenomeni di disgregazione sociale ha posto in relazione le tipologie di reato, connesse con la povertà e le tensioni sociali, e gli effetti sul costo del credito.
L’ipotesi di lavoro si è basata sui tassi di criminalità suddividendo i reati in quattro gruppi. Il primo gruppo di reati è dato da quelli contro la proprietà e comprende la rapina, il furto e la ricettazione. Questi reati tendono ad essere positivamente correlati con la concentrazione di attività economica e sono più comuni nelle zone urbane. Il secondo gruppo comprende i reati contro l’individuo, dati da omicidio volontario e tentato omicidio, aggressioni, violenza privata e minacce. Il terzo gruppo include reati economici quali la frode, la bancarotta fraudolenta e l’emissione di assegni a vuoto. Infine, il quarto gruppo comprende reati che incidono sull’ambiente nel quale viene esercitata l’attività economica, in particolare l’estorsione, l’associazione a delinquere e l’associazione di stampo mafioso. Mentre i crimini economici dovrebbero catturare la propensione delle stesse imprese a mettere in atto comportamenti fraudolenti aumentando direttamente il rischio per le banche, i reati che modificano l’ambiente economico accrescono l’opacità delle imprese e la loro fragilità.
Il preliminare della Ricerca rappresenta una base di lavoro che tende a quantificare quanto la criminalità influisce negativamente sulla composizione del Pil.
Tra gli elementi presi in considerazione la diversa rilevanza della recessione nelle 20 regioni italiane.
In particolare emerge che nel 2009, infatti, il Pil si è ridotto del 6 per cento nel Nord-Ovest, del 5,6 nel Nord-Est, del 3,9 nel Centro e di 4,3 punti nel Mezzogiorno, a fronte di un valore nazionale, di 5. Uno dei quesiti al quale la ricerca intende dare risposte é: la questione criminale risalta ancor più, nella sua distribuzione regionale, per effetto della nuova Grande Crisi? Da quanto emerge sembrerebbe di sì.
Appare infatti che l’esistenza di un’area di economia sommersa e la generazione di reddito illegale – due variabili che caratterizzano, in particolare misura, la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia –hanno attenuato le conseguenze della tempesta finanziaria che si è riversata su tutte le economie regionali.
Fin dall’anno 2000 l’UE ha incluso nel dimensionamento del PIL anche le componenti che derivano dall’economia sommersa e da quelle attività illegali che non abbiano meri effetti ridistributivi. In altre parole, se le rapine, i furti e le estorsioni rappresentano delle sottrazioni di valore dai legittimi detentori, che viene così collocato presso chi compie il reato di primo livello, al contrario la criminalità che traffica sostanze stupefacenti, eroga prestiti e finanziamenti abusivi o commercia tabacchi lavorati esteri in contrabbando, genera valore aggiunto illegale. Analogamente, utilizzando parti di reddito proveniente da attività illegali per investimenti formalmente legali, la criminalità incrementa il reddito agendo sull’intero ciclo di creazione del valore e non limitandosi a intervenire sui soli terminali della ricchezza.
Ecco dunque l’avvio ben fondato di un quesito che è sorto nella considerazione di quanto le regioni meridionali d’Italia abbiano conosciuto un valore più attenuato dell’andamento recessivo. L’UE include nelle statistiche comparative della ricchezza anche la stima di quella componente “non ufficiale”, ma impattante sulle dinamiche dei mercati, compresi quelli finanziari.
Il rilievo dunque delle interazioni tra sicurezza pubblica e congiuntura economica non è una novità dell’ultima ora, ma non di meno la questione è costantemente omessa nel commento che quotidianamente avviene nelle sedi politiche e nell’opinione pubblica. Per esempio appare ancora scarso il rilievo che ottiene la differenziazione analitica quando si esaminano i dati per le decisioni di bilancio nazionale, per la stesura della legge finanziaria annuale e per documento di programmazione (DPF).
Sul PIL, la qualità della sicurezza pubblica ha una evidenza piuttosto netta, sebbene indiretta. La soddisfazione che gli attori della comunità degli affari nutrono negli apparati deputati al governo della legalità è incrementata proprio dalle performance di questi ultimi: se e in quanto riescano a separare le tre componenti dell’economia non documentata (illegale, sommersa, informale). Le attività svolte in violazione della legge penale e quelle esercitate in spregio alle regole specifiche dell’attività economica generano, infatti, un PIL spurio, per dir così, che penalizza sia l’apparato economico ufficiale e sia il “sistema paese” dell’economia. Come previsto da alcuni autori tanto il reddito sommerso quanto il reddito legale-criminale agiscono quali moltiplicatori negativi del ciclo economico.
Il complesso dei soggetti che violano le leggi sottraggono reddito agli operatori economici locali, in varie modalità. Con le forme “predatorie” di criminalità si riduce il volume complessivo dei consumi di beni e servizi, poiché le vittime dei reati subiscono una corrispondente amputazione del loro deficit spending. Si abbassa quindi la propensione sociale al consumo poiché il denaro e i beni rilevati dai criminali si indirizzano, per una quota parte elevata, verso consumi, risparmi e investimenti illegali, oltre che verso l’acquisto di beni di lusso coerenti con la logica dissipatoria. Come dimostrato da molte scuole economiche è più efficace, a partità di valore, una domanda diffusa tra molti soggetti di una domanda concentrata in pochi soggetti.
Cambia infatti la composizione del paniere dei consumi: all’aumento della spesa per auto di lusso, per goielli (beni legali) e per stupefacenti, gioco d’azzardo (consumi illegali) corrisponde una diminuzione della spesa per consumi alimentari, per beni durevoli, per risparmio finalizzato a investimenti famigliari (abitazione, istruzione ecc.).
La criminalità organizzata riduce le opportunità di crescita preesistenti in un territorio perché cumula gli effetti della criminalità predatoria con la riduzione dell’efficienza marginale dell’investimento. Il danno potenziale è necessariamente trasferito nella struttura dei costi modificando la soglia di ritorno economico che rende remunerativo l’investimento stesso (Centorrino – Signorino). Infine sottrae la risorsa risparmo al tessuto produttivo locale immobilizzando e dirottando reddito (per esempio verso consumi e investimenti illegali), rendendo più inefficienti gli istituti bancari del territorio, agendo parassitariamente (con estorsioni sui produttori) e costringendo molte imprese a “compensare” tale aggravio evadendo o eludendo il fisco. Con il risultato di abbassare il gettito per lo Stato, a parità di reddito con altre aree. Minor gettito fiscale – conseguenza di un livello minore di sicurezza pubblica disponibile – ha un ulteriore effetto: penalizzazione nell’ammontare dei fondi per investimenti pubblici, nel costo del denaro per iniziative imprenditoriali locali, nel moltiplicarsi dei casi d’insolvenza nei pagamenti dei fornitori.
Le dotazioni di sicurezza pubblica nelle regioni.
Sono stati elaborati gli indicatori sulle dotazioni effettive di agenti di Polizia di stato, di militari dell’Arma dei carabinieri, per regione, in base ai dati di fonte Ministero dell’Interno al maggio 2010. Le variabili utilizzate sono le seguenti: il numero di presidi territoriali ogni 1000 Kmq, la quantità media di operatori per presidio, il numero di operatori per 10.000 abitanti.
Analogamente a quanto effettuato per la selezione dei dati sulla criminalità, per ciascuno di questi parametri sono state elaborate delle graduatorie regionali, con ordinamento decrescente per le dotazioni, crescente per la delittuosità.
In ciascuna graduatoria la regione che occupa il primo posto presenta la situazione migliore; ad essa è stato attribuito un punteggio pari a 1.000 ed un punteggio proporzionale a tutte le altre. E’ stata infine tratta la sintesi delle tre graduatorie, sommando per ciascuna regione i punteggi ottenuti in ciascuna di esse e riproporzionando ancora i dati così ottenuti al punteggio di 1.000. In merito all’adeguatezza della distribuzione delle Forze dell’Ordine in ambito regionale in relazione ai corrispondenti livelli regionali della delittuosità si è fatto ricorso ancora al calcolo del coefficiente di correlazione tra le seguenti distribuzioni regionali: il numero effettivo di Agenti (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza); il numero complessivo dei delitti denunciati (che compongono un insieme selezionato di fattispecie delittuose) e il numero complessivo delle persone denunciate o arrestate. (Tav. 3)
Il coefficiente di correlazione tra “Numero di Agenti” e “Numero delitti” è molto elevato, pari a 0,8697; ma ancora più elevato è l’indice di correlazione tra “Numero di Agenti” e “Numero di persone denunciate o arrestate, che è pari a 0,9089. Quest’ultimo indice è ancora più rappresentativo, riferendosi al risultato concreto dell’attività delle Forze dell’Ordine, cioè alle persone denunciate o tratte in arresto.
Comunque entrambi gli indici testimoniano una adeguata distribuzione delle forze di polizia statali a fronte dei livelli di delittuosità rilevati nelle varie Regioni italiane.
Noi funzionari siamo in prima linea nella lotta ai fenomeni illegali ed al crimine, per tale ragione, la “questione morale” costituisce per noi un terreno elettivo di intervento ed impegno, professionale ed associativo. Essa rappresenta il convergere, nella nostra categoria, di interessi per così dire “particolari”, perché connessi alla tutela della professionalità, della dignità, della legittima remunerazione del lavoro prestato, con interessi di carattere più generale, quali quelli alla lotta al crimine, alla corruzione ed all’illegalità diffusa.
Nell’attuale contesto il nostro contributo alla costruzione ed al mantenimento della sicurezza pubblica significa sempre più concreto e consapevole impegno alla riedificazione morale di questo Paese, per un sistema sociale fondato su principi di trasparenza, equità, equilibrio, certezza del diritto, garanzie e solidarietà.
Da ciò la necessità che il tavolo di pianificazione dell’Autorità provinciale di pubblica sicurezza, tecnico-operativa, passa da una fonte d’indirizzo amministrativa ad una di rilevo normativo per superare i limiti propri di uno strumento originato da una prassi amministrativa.
L’esperienza di detto modello relazionale intersoggettivo non può essere lasciata alla sola gestione dei “grandi eventi”, ma deve essere mutata anche negli ordinari rapporti sul territorio tra tutte le componenti che sono chiamate direttamente o ndirettamente a concorrere ad attuare quei servizi volti a garantire una serena convivenza civile, sia nell’ambito della sicurezza pubblica, così come nell’ambito della sicurezza urbana.
In questo quadro i Funzionari di Polizia, in un periodo di grave crisi economica come quello attuale, sono a disposizione del Paese con senso di responsabilità e spirito di sacrificio, per continuare a rappresentare referenti affidabili nel sistema sicurezza che si fonda sulla fiducia collettiva e sul buon funzionamento di un apparato essenziale per lo sviluppo e per il progresso della nazione italiana.
L’auspicio è che il nostro lavoro sia riconosciuto assecondando anche le legittime aspettative della categoria.

Presentato il giorno 12 novembre 2010 – Roma –

SICUREZZA: ANFP, QUALITA’ INCIDE INDIRETTAMENTE SUL PIL
(AGI) – Roma, 12 nov. – La qualita’ della sicurezza pubblica “ha un’evidenza piuttosto netta, sebbene indiretta”, sul Pil. Lo ha sottolineato il leader dell’Associazione nazionale funzionari di Polizia (Anfp), Enzo Marco Letizia, nella sua relazione al congresso dell’associazione in corso a Roma. “Le attivita’ svolte in violazione della legge penale e quelle esercitate in spregio alle regole specifiche dell’attivita’ economica generano in fatti un Pil spurio – ha osservato – che penalizza sia l’apparato economico ufficiale e sia il ‘sistema paese’ dell’economia”. Infatti, ha spiegato Letizia, “tanto il reddito sommerso quanto il reddito legale-criminale agiscono quali moltiplicatori negativi del ciclo economico”. L’esistenza di un’area di “economia sommersa”, ha continuato il leader dell’Anfp, e la “generazione di reddito illegale”, variabili che caratterizzano in particolare regioni quali Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, “hanno attenuato le conseguenze della tempesta finanziaria che si e’ riversata su tutte le economie regionali”. Chi viola le leggi, secondo Letizia, sottrae “reddito agli operatori economici locali”: con le forme “predatorie” di criminalita’ “si riduce il volume complessivo dei consumi di beni e servizi, poiche’ le vittime dei reati subiscono una corrispondente amputazione del loro ‘deficit spending'”. In tal modo, hanno rilevano i funzionari di Polizia, “si abbassa la propensione sociale al consumo perche’ il denaro e i beni rilevati dai criminali si indirizzano, per una quota elevata, verso consumi, risparmi e investimenti illegali, oltre che verso l’acquisto di beni di lusso coerenti con la logica dissipatoria”. Infine, la criminalita’ organizzata “riduce le opportunita’ di crescita preesistenti in un territorio – ha concluso Letizia – perche’ cumula gli effetti della criminalita’ predatoria con la riduzione dell’efficienza marginale dell’investimento” e “sottrae la risorsa risparmio al tessuto produttivo locale immobilizzando e dirottando reddito, rendendo piu’ inefficienti gli istituti bancari sul territorio, agendo parassitariamente con estorsioni sui produttori e costringendo molte imprese a ‘compensare’ tale aggravio evadendo o eludendo il fisco, con il risultato di abbassare il gettito per lo Stato, a parita’ di reddito con altre aree”.

PRIMO REPORT ANFP