108-senAudizione A.N.F.P. dott. Enzo Marco Letizia

Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento per l’armonizzazione all’assicurazione generale obbligatoria dei requisiti minimi di accesso al sistema pensionistico del personale del Comparto Difesa – Sicurezza e del Comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico, nonché di categorie di personale iscritto presso l’INPS, l’ex-ENPALS e l’ex-INPDAP

Premessa

1. Il contesto nazionale ed europeo
Nel sistema delle pensioni italiane furono rilevati fattori di criticità, relativi all’equilibrio finanziario, già negli anni ‘80. In seguito a tale constatazione, per riequilibrare l’onere previdenziale che con il passare del tempo e delle trasformazioni della nostra società, legate all’allungamento della vita e, all’estensione indiscriminata dell’istituto del prepensionamento, fattori che fecero lievitare i costi complessivi della gestione previdenziale, i cui riflessi negativi sul sistema paese, erano diventati non più sostenibili. Nel tentativo di contenere i suoi effetti sulla finanza pubblica, nei primi anni ‘90 fu aperta una fase di politica finanziaria, che, iniziò a introdurre nuove e più stringenti regole in materia di pensioni, dalla limitazione delle c.d. baby pensioni, alle diverse modalità di calcolo che stabiliscono il quantum della prestazione pensionistica da erogare. Dopo oltre un ventennio di riforme che hanno modificato i sistemi pensionistici nel nostro Paese, alla luce dei nuovi interventi previsti nel D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, recante “disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, in vigore dal 17 luglio 2011, è necessario effettuare una breve analisi generale, per meglio comprendere la portata degli interventi tesi a razionalizzare i sistemi pen¬sionistici, per migliorare l’efficienza degli stessi sul piano finanziario secondo la politica economica e di bilancio degli ultimi anni, che i lavoratori hanno già subito. Va evidenziato che per il sindacato, le riforme pensionistiche devono costituire non solo uno strumento di gestione per la tenuta complessiva dell’equilibrio finanziario; ma anche lo strumento che assicuri condizioni per una esistenza dignitosa dei lavoratori in pensione, la giusta ricompensa per una vita di lavoro. In particolare per ciò che attiene ai lavoratori in uniforme, vanno rese fruibili sul piano previdenziale, le norme che fissano i principi a tutela della specificità riconosciuta a poliziotti, militari e vigili del fuoco è appunto il caso degli operatori del Comparto Sicurezza e Difesa e del Comparto Vigili del Fuoco e Soccorso Pubblico.

Lo stesso Presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso, ha sottolineato l’importanza di ga¬rantire pensioni adeguate e sostenibili, rispetto alle esigenze di bilancio della finanza pubblica, anche al fine di rafforzare la coesione sociale:
“Milioni di europei non hanno altro reddito che la loro pensione. La crisi ha dimostrato l’importanza dell’approccio europeo ai sistemi pensionistici (…). Dobbiamo fare in modo che le pensioni garantiscono il massimo sostegno ai pensionati attuali e futuri”.

L’obiettivo di generare redditi da pensione adeguati e sostenibili per mezzo di riforme dei sistemi pensionistici è uno degli obiettivi prioritari della strategia di “Europa 2020”. La Commissione Europea, infatti, ha invitato i Paesi dell’Unione a introdurre riforme in grado di favorire meccanismi di incentivazione al lavoro. Nel gennaio 2011 la medesima Commissione ha pubblicato un documento con il quale chiedeva riforme strutturali per accrescere la competitività dell’area euro, tra gli interventi richiesti ai Paesi membri, prioritaria è l’esigenza di riformare i sistemi pensionistici attraverso interventi tesi:

a) a innalzare l’età pensionabile e collegarla alla speranza di vita;
b) a ridurre in via prioritaria i prepensionamenti e utilizzare incentivi mirati a promuovere l’occupazione dei lavoratori anziani;
c) a evitare di adottare misure riguardanti i sistemi pensionistici che compromettano la sostenibi¬lità a lungo termine per l’adeguatezza delle finanze pubbliche.

Le politiche in materia previdenziale già adottate nel nostro Paese, nonché quelle in corso di discussione per ciò che attiene alle forze di polizia, militari e vigili del fuoco, sono ampiamente in linea con le raccomandazioni dell’Europa. Le riforme italiane, a partire dalla riforma del 1992 (Governo Amato) a cui è seguita quella della legge 335/1995 (Governo Dini), che ha introdotto il sistema contributivo nel calcolo delle nostre pensioni, erano già finalizzate a tenere sotto controllo la dinamica della spesa pubblica, avendo agito su più fronti per:
a) liberalizzare il cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro al fine di favorire il prolun¬gamento della vita attiva;
b) applicazione di nuovi e più stringenti coefficienti di trasformazione che tenessero conto dell’aumento dell’aspettativa di vita;
c) adeguamento automatico, a partire dal 2015 ora dal 2013, dell’età pensionabile all’aspettativa di vita;
d) nuovo regime delle decorrenze per l’accesso ai trattamenti pensionistici, con l’introduzione dal 2011 della cosiddetta “finestra mobile”.

Una lunga fase quella delle riforme del sistema previdenziale che si è temporaneamente conclusa con le novità introdotte dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e l’art. 24 comma 18 del Decreto Legge 6 dicembre 2011 nr.201 convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214. L’art. 18, commi 1 e 4 della legge 111/2011 di conversione del D.L. 98/2011 ha modificato l’art. 12 della L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010, 2 comma, il quale ha previsto l’allineamento dell’età pensionabile delle lavoratrici del settore privato ai livelli previsti per le lavoratrici del settore pub¬blico e per la generalità dei lavoratori. Il percorso inizierà nel 2020 per completarsi a partire dal 2032. Precedentemente alla manovra finanziaria veniva stabilito che – a partire dal 2015 – i requisiti di età per accedere al pensionamento saranno adeguati ogni tre anni per tenere conto dell’aumento della speranza di vita. Tale previsione è stata anticipata al 2013.

Si evince con chiarezza in questa breve premessa, che, i sistemi pensionistici europei e in maniera particolare quello italiano tengono tutti ampiamente conto dell’aumento progressivo dell’età media della popolazione dovuto alle “migliori condizioni di vita” che porta nello stesso tempo, ad un aumento del numero dei pensionati rispetto alla forza lavoratrice attiva. Pur comprendendo la filosofia delle scelte politiche adottate dai diversi governi, che da una parte intendono promuovere la crescita economica e l’occupazione e dall’altra il progressivo innalzamento dei limiti di età pensionabile, obiettivo che non può e non deve essere raggiunto solo imponendo sacrifici dei lavoratori, senza tra l’altro, tener in debito conto le peculiarità dei diversi ambiti lavorativi e dei lavori usuranti.

1.1 Esempi di sistemi previdenziali di Paesi europei e limiti di età dei poliziotti .*
Tra i principali fattori che hanno determinato in Italia l’enorme crescita della spesa pubblica in tema di pensioni, creando così un divario tra ammontare della spesa pensionistica rispetto ai contributi versati, sono: l’incremento della speranza di vita, la crisi del sistema finanziario, la crisi della produzione, l’elevato tasso di disoccupazione. La politica sull’innalzamento dell’età per accedere al trattamento pensionistico è stata affrontata anche da altri Paesi della comunità europea come già detto, citiamo alcuni esempi tra i più noti. In Spagna nell’estate del 2011 il Congresso dei deputati di Madrid ha approvato la riforma delle pen¬sioni del Governo di Jose Luis Rodriguez Zapatero, anche lì la riforma innalza progressivamente l’età dagli attuali 65 anni a 67 per il pensionamento; ma la riforma entrerà in vigore gradualmente nel 2013 e sarà a regime nel 2027. Attualmente i lavoratori spagnoli possono andare in pensione con 35 anni di contributi e 65 di età, e con la riforma varata sarà necessario avere, 67 anni di età e 37 anni di contributi. Il pensionamento anticipato è sempre garantito all’età di 65 anni, se si hanno 38 anni e 6 mesi di contributi. In Francia sullo stesso tema ci sono state tensioni sociali molto forti a seguito della riforma pensionistica introdotta dal presidente Nicolas Sarkozy. I francesi sono tra i cittadini europei che trascorrono in pensione, sei anni più della media degli altri Paesi Ocse, circa 26 anni. Fattore che ha conseguenze gravose sui conti pubblici, specie in tempi di recessione e crisi economica del sistema dei paesi occidentali. II governo quindi, nel 2010 ha deciso di alzare l’età pensionabile, rispetto alla precedente soglia fissata nel lontano 1983, anni dalla Presidenza Mitterrand. Anche i francesi dovranno lavorare due anni in più per ottenere la pensione, e i cittadini che hanno un reddito più alto dovranno pagare più contributi, come giusto che sia. Scelte necessarie per cercare di risollevare le sorti del sistema di welfare francese. La riforma comunque, ha incontrato una resistenza molto decisa da parte dei sindacati, anche in Francia, come ora sta accadendo da noi, l’età minima per andare in pensione si è alzata da 60 a 62 anni per i lavoratori comuni, ma non per i poliziotti francesi che resta fissata tra 55 e 60 anni, con 35 + 5 di contribuzione, per una pensione pari al 75% dell’ultimo stipendio, mentre passerà da 65 ai 67 anni l’età minima per gli altri lavoratori, in cui sarà possibile percepire una pensione senza penalizzazioni percentuali. Secondo le stime del governo francese, il pacchetto di riforme varate, che prevede una serie di interventi – porterà a un pareggio di bilancio il 2018 (quello italiano è fissato entro il 2013), in coincidenza con le analisi sulla ripresa del deficit, che dovrebbe tornare a crescere di nuovo anche a seguito della più lunga aspettativa di vita delle popolazioni.
Anche in Gran Bretagna si sono registrate e si registrano proteste contro i tagli al comparto pubblico varati dal primo ministro David Cameron, oggetto dell’opposizione durissima di sindacati e lavoratori pubblici per la riforma delle pensioni, che ha previsto l’innalzamento dell’età per il trattamento di pensione dai 60 anni attuali ai 66 anni, entro il 2018, nonché il passaggio dal sistema re-tributivo a quello contributivo (in Italia già introdotto nel 1996 per i nuovi assunti, e dal 1 gennaio 2012 esteso a tutti i lavoratori), anche in Gran Bretagna è stato previsto un adeguamento dell’importo complessivo della pensione, che non sarà più legato all’ultima retribuzione, come oggi ancora avviene. In estrema sintesi in tutti i Paesi europei i limiti di età previsti per il personale militare e delle forze di polizia e dei vigili del fuoco risultano inferiori a quelli stabiliti per il personale italiano, come si evince chiaramente dall’allegata tabella.

1. All.1 Tabella Schematica

2. Le riforme del sistema previdenziale
In sintesi come evintosi in premessa, negli ultimi anni, il sistema pensionistico italiano è stato oggetto di una radicale progressiva riforma, una sorta di lento ma inesorabile “work in progress” antecedente alle direttive della comunità europea e prima del varo della moneta unica, che ha perseguito e persegue l’obiettivo prioritario del contenimento della spesa. Per inciso, tra le concause generali che hanno prodotto la riforma, si torna a segnalare l’evidente crescente sproporzione tra i fruitori di pensione e coloro i quali lavorano. Facciamo sommessamente notare che ad oggi, le riforme della materia, nonostante la responsabile e ferma opposizione del Sindacato di Polizia, hanno comunque interessato anche il personale dei comparti sicurezza e difesa. Ciò detto, attraverso la riforma della L. 335/1995 sono già state introdotte radicali modifiche non solo ai criteri, ma anche al sistema di calcolo della prestazione pensionistica. La riforma Dini, ha abbandonato il sistema retributivo utilizzato sino a quel momento per calcolare le pensioni dei lavoratori che vanno in quiescenza, il cui ammontare era determinato dalla base media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di attività lavorativa, introducendo il sistema contributivo, che tiene conto esclusivamente dei contributi versati durante il corso della vita lavorativa, per fissare il quantum dell’erogazione della pensione, due sistemi totalmente diversi nella loro filosofia. La modifica radicale del sistema di calcolo, oltre ad una serie di criticità a danno dei lavoratori che emergeranno nel corso del tempo, dal nostro punto di vista, pone anche problemi di equità nell’impiego dei poliziotti, se si considerano i vari ambiti organizzativi e operativi della Polizia di Stato, come di altre amministrazioni dei comparti interessati. Infatti, secondo l’impiego cui è chiamato l’operatore, dipende la fruizione di alcune delle indennità del salario accessorio, come lo straordinario, l’ordine pubblico, l’indennità esterna, le indennità di specialità, ecc…, tutte voci che producono per il sistema contributivo gettito per la pensione. Questo ulteriore aspetto negativo ha creato le condizioni per una disparità di trattamento previdenziale in seno alla stessa categoria di lavoratori. E’ noto che con il sistema contributivo, la pensione si calcola sulla base della retribuzione complessiva percepita, il tema per gli evidenti riflessi sul piano organizzativo interno e per gli aspetti iniqui che produce, rischia di portare le amministrazioni del comparto a rivedere i moduli organizzativi e a confrontarsi con il sindacato su una materia che incide direttamente sull’organizzazione dei servizi. Aspetto rischioso da affrontare per il quadro complessivo che oggi abbiamo e per una serie di ragioni, non ultima l’eccesso di frammentazione della rappresentanza sindacale in micro sigle e federazioni portatrici d’interessi particolari, che, spesso, perdono di vista gli interessi collettivi e generali. Indubbiamente il sistema contributivo penalizza più di altri le nuove generazioni, soprattutto gli assunti in servizio dall’1 gennaio 1996, oltre a coloro che, non avevano maturato un’anzianità tale (18 anni utili) al 31 dicembre 1995, per rientrare nella ristretta platea di coloro i quali hanno mantenuto sino al 31.12.2011 il più vantaggioso sistema retributivo.

3. Coefficienti di trasformazione
Inoltre con successivo D.M. del Ministero del Lavoro del 15/05/2012, i coefficienti di trasformazione del montante contributivo, sono stati ulteriormente ridotti ad un minimo di 4,304 per i 57 anni di età, a un massimo di 5,435 per i 65 anni, l’età massima fissata per la pensione di vecchiaia per i dirigenti generali della Polizia di Stato, la cui applicazione avrà decorrenza dal 1° gennaio 2013. La riduzione dei coefficienti incide pesantemente sul trattamento pensionistico finale, ma la gradualità degli stessi è giustificata per rendere equi i trattamenti di due pensioni che a parità di montante contributivo, vengono corrisposti a due persone che hanno scelto di andare in pensione in età differenti, la prima a 57 anni e la seconda a 65 anni, per cui la prima, godrebbe teoricamente della pensione per 8 anni in più rispetto alla seconda. È necessario evidenziare che con il sistema contributivo si è ampliata per il personale della Polizia di Stato così come per i dipendenti statali, la modesta base contributiva e pensionabile, pertanto la stessa dal 1 gennaio 1996 comprende tutti gli emolumenti corrisposti al lavoratore a titolo di retribuzione fondamentale e accessoria, l’obiettivo è quello di armonizzare gradualmente il settore pubblico con il privato, come accennato in premessa.

4. Effetti della Riforma Fornero
Dall’1 gennaio 2012, per effetto delle novità introdotte dalla citata legge n. 214/2011 (Governo Monti), rientriamo tutti nel sistema contributivo pro-rata. Si segnala che, se da un lato le riforme hanno determinato e determineranno sempre più, una progressiva riduzione della spesa pensionistica, necessaria per l’equilibrio del bilancio dei conti dello Stato, dall’altro comporteranno progressivamente una “reformatio in peius” per tutti i lavoratori, che incide nel particolare rapporto che intercorre tra retribuzione percepita in servizio e importo della pensione, nonostante l’allungamento forzato dell’età lavorativa, sono stati ridotti i coefficienti di trasformazione, come già detto. In particolare, questo aspetto critico vale ancor di più, per i poliziotti e gli operatori del Comparto Sicurezza e Difesa e Vigili del Fuoco, se il Governo e il Parlamento non terranno conto delle criticità segnalate dal sindacato e dalle rappresentanze del comparto. Anche per ciò che attiene ai diritti conquistati e acquisiti dai Poliziotti, Carabinieri, Finanzieri, Penitenziari, Forestali, Militari delle Forze Armate e Vigili del Fuoco, se dovesse passare l’attuale “bozza di regolamento di armonizzazione” oggetto dell’odierna audizione secondo l’impostazione del Ministro Fornero, senza le opportune correzioni, subiremmo un danno non solo come lavoratori, ma anche come operatori dell’amministrazione della pubblica sicurezza. Un regolamento particolarmente rigido che non tiene conto delle peculiarità del nostro lavoro, farebbe venir meno il rilievo specifico dello status professionale riconosciutoci anche attraverso l’art. 19 della legge 4 novembre 2010 n. 183, cui sono strettamente connessi i livelli retributivi e il salario accessorio dei poliziotti. In sintesi sarebbe in parte vanificata la nostra specificità e il nostro trattamento previdenziale, questa è l’opinione del S.I.A.P. e dell’ANFP – valutazione su cui si fonda legittimamente la nostra ferma contrarietà rispetto all’impostazione del provvedimento in esame, a cui è necessario apportare correttivi adeguati anche per le esigenze dei corpi e delle amministrazioni di appartenenza.

5. La relazione che intercorre tra lo status professionale e la contribuzione
La previdenza sociale si è caratterizzata come lo strumento per mezzo della quale la stessa ha storicamente trovato esaustiva realizzazione, perché è sempre stata in stretta e istituzionale relazione ( come nel caso di poliziotti, militari e vigili del fuoco), per sua intima natura con lo status professionale, e la relativa disciplina generale che è caratterizzata dalla vigenza di principi legati alla cooperazione nel finanziamento del sistema previdenziale nazionale ad opera delle categorie beneficiarie, e, dunque, conseguente la necessaria relazione tra la contribuzione e il reddito da lavoro” (per mezzo del quale la cooperazione al finanziamento tecnicamente si realizza). Quindi nel momento in cui non si riconosce la specificità dello status professionale, sul piano della contribuzione pensionistica, implicitamente, com’è evidente, la riforma introdurrebbe il principio universalistico nei trattamenti previdenziali, che la filosofia su cui si fondava la nostra previdenza sociale non conosceva, rivolgendosi la stessa, non ai lavoratori, ma ai cittadini in genere. Inoltre la reintroduzione del sistema contributivo significa anche una netta inversione di tendenza dei principi fondanti del sistema previdenziale. Una riforma quella introdotta dalla L. 335/1995, che non ha solo modificato il sistema di calcolo, ma ha narcotizzato il principio di solidarietà , pilastro della nostra previdenza, sostituendolo con quello della rigorosa corrispettività tra contributi versati e prestazioni pensionistiche, un chiaro ritorno alla concezione precedente al varo della Carta Costituzionale; infatti, il principio si ispira al modello previdenziale dell’ordinamento corporativo, come parte della più autorevole dottrina della materia sostiene.

6. Dubbi di legittimità Costituzionale
Ci preme evidenziare che, come noto, la giurisprudenza della Suprema Corte è costante nell’escludere la sindacabilità dei regolamenti nel giudizio di costituzionalità riservato alle leggi e agli atti aventi forza di legge (Sen. n. 58/2010). Rimane invariato il controllo di legittimità dell’esercizio del potere regolamentare innanzi al giudice amministrativo ed eventualmente, ricorrendone i necessari presupposti, anche innanzi alla Corte Costituzionale mediante il ricorso per conflitto di attribuzione.
In particolare ci preme sottolineare in questa sede come il controllo della Corte Costituzionale sembra estendersi al sindacato sulle leggi che autorizzano i regolamenti di delegificazione. Al riguardo si segnala che nella recente sentenza n.149 del 2012, in un obiter dictum, la Corte ha lasciato impregiudicata la possibilità di pronunciarsi sulla “correttezza della prassi di autorizzare l’emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreto legge”, nonché “ogni valutazione sulle procedure di delegificazioni non conformi al modello previsto dall’articolo 17 comma 2 della legge n.400 del 1988, quale è quella prevista dalla disposizione impugnata che non determina le norme generali regolatrici della materia, né indica espressamente le norme di rango primario da ritenersi abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di delegificazione”. Tale obiter dictum è costantemente richiamato nei pareri del Comitato per la legislazione sui disegni di legge di conversione dei decreti legge.
Alla luce della giurisprudenza Costituzionale richiamata, vanno svolte alcune considerazioni. Lo schema di decreto in esame dell’odierna audizione è, come già illustrato, un regolamento di delegificazione (art. 17 comma 2, L. 400/1988) adottato in attuazione di una disposizione contenuta in un decreto legge segnatamente l’art. 24 comma 18 del D.L. 6 dicembre 2011, n.201 c.d. decreto “ Salva Italia”, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.2014. In merito poi, alla genesi di tale autorizzazione alla potestà delegificata, la disposizione è contenuta nel testo originario del decreto legge e non ha subito modifiche di rilievo nel corso dell’esame parlamentare per la conversione. In sede di relazione illustrativa il Governo si limitava ad esplicare che il “comma 18 dispone che, per i regimi speciali che prevedono requisiti di accesso al pensionamento inferiori a quelli vigenti nel sistema generale, si procederà all’adeguamento, con regolamenti da adottare entro il 30 giugno 2012 (successivamente prorogato al 31 ottobre 2012), tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti”.
Tra l’altro è noto che nel parere reso il 7 dicembre 2011, il comitato per la legislazione aveva già osservato che l’autorizzazione alla delegificazione recata dall’art. 24, comma 18, non è formulata in conformità al modello previsto dall’art. 17, comma 2 della L. 400/1988, in quanto non sono indicate le “ norme generali regolatrici della materia” né sono indicate espressamente le norme di rango primario abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti; analogamente all’art.37 opera un riferimento “principi e criteri direttivi” in luogo delle “norme generali regolatrici della materia”, ne indica le disposizioni da abrogare con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari, richiedendo pertanto al Parlamento di procedere ad esplicare le norme generali e le disposizione da abrogare.
Dal parere del comitato emerge con chiarezza la peculiare natura del procedimento stabilito per i regimi pensionistici speciali: è stato configurato un modello normativo non riconducibile in modo speculare alla disciplina della fonte “regolamento di delegificazione”, in quanto nella fattispecie nessuna effettiva delegificazione poteva essere effettuata. Come è evidente, infatti, la materia pensionistica non è stata sino di delegificazione, perché per (quasi) tutte le categorie di lavoratori tale materia è stata riformata con il DL 201/2012 quindi con una fonte avente forza di legge.

7. Conclusioni
Riteniamo che l’eventuale intervento debba essere graduato nel tempo e che la materia oggetto di armonizzazione sia esclusivamente quella dell’incremento dei limiti minimi di età per accedere alla pensione di vecchiaia, dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva per beneficiare della nuova pensione anticipata (ex pensione di anzianità), diversamente l’assunto della specificità si tradurrebbe in una penalizzazione per il personale delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e dei Vigili del Fuoco, posto che il mantenimento in basso, rispetto al sistema generale, del limite anagrafico fissato dai rispettivi ordinamenti per la cessazione dal servizio, è un’esigenza funzionale dello Stato. Si rende altresì indispensabile un intervento, attraverso un graduale e contestuale adeguamento degli assetti ordinamentali, al fine di contenere il preoccupante aumento dell’età media del personale in servizio che ha raggiunto la soglia media di anni 44,05, con punte di 50 e 55 anni in alcuni ruoli, mentre il ruolo più operativo degli agenti e assistenti ha raggiunto la soglia media dei 41 anni, necessario garantire la correlata funzionalità delle amministrazioni interessate e dei peculiari meccanismi di progressione in carriera di tutto il personale.
La norma sulla specificità, nel suo obiettivo programmatico è stata disattesa nell’esercizio della delega di cui al comma 18, dell’art. 24 della legge c.d. “Salva Italia”. Nonostante che per i lavoratori pubblici e privati sono state avviate da tempo forme previdenziali complementari, al fine di coprire il divario tra quanto si è percepito in servizio e quanto invece si è maturato in termini di pensione, per il personale dei citati Comparti tale forma di previdenza è tuttora da definire, senza che siano mai state adottate formule per tutelare gli operatori assunti dopo il 1 gennaio 1996, che sono i primi e più immediati destinatari del sistema contributivo. Vanno aperte, contestualmente alla stesura del regolamento di armonizzazione, le procedure di concertazione per l’avvio di forme pensionistiche complementari, salvaguardando il personale attualmente in servizio già assoggettato al cosiddetto sistema contributivo puro, anche attraverso il ricorso al possibile utilizzo di parte dei nuovi risparmi derivanti dalle disposizioni contenute nel richiamato regolamento di armonizzazione. Contestualmente va aperto un tavolo di lavoro con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate e le rappresentanze del personale per definire un complessivo progetto di riordino dei ruoli del personale interessato al regolamento di armonizzazione in argomento, ai fini della predisposizione di un disegno di legge di delega che preveda un’attuazione graduata nel tempo – coordinata con la gradualità dell’incremento dei requisiti per l’accesso alla pensione – che assicuri la compatibilità finanziaria, anche attraverso processi di razionalizzazione e modernizzazione delle strutture interessate.

8. Proposta di possibili modifiche allo schema di regolamento
1) Riteniamo che sia necessario escludere l’automatica applicazione dell’incremento della speranza di vita per l’accesso alla pensione di vecchiaia dopo il raggiungimento dei nuovi limiti di età nel 2018, previsti dalle tabelle A e B, allegate allo schema di decreto, atteso che tali limiti risultano già molto alti in relazione ai peculiari compiti espletati, nonché alla media (44,05 anni) già più elevata rispetto a quella prevista per le Forze di polizia dei principali Paesi europei. L’eventuale adeguamento dei limiti di età dovrà rispettare, anche nella disciplina a regime, il principio di specificità. Infatti, la previsione dell’identico incremento dell’età pensionabile applicabile al restante personale del pubblico impiego si pone in palese contrasto, tra l’altro, con lo stesso principio, contenuto nell’articolo 24, comma 18, del decreto- legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, secondo cui il regolamento in questione deve tenere conto anche “delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti”.

2) Vanno eliminate le riduzioni dell’uno e del due per cento sulla quota retributiva di trattamento per l’accesso alla pensione anticipata con un’anzianità contributiva minima di 42 anni e tre mesi e con un’età inferiore a 58 o 59 anni, considerato che la riduzione prevista risulta in contrasto sia con l’ambito della delega, di cui all’articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sia con la specificità e peculiarità delle funzioni svolte e del diverso limitato arco temporale dell’attività di servizio del personale interessato. In via del tutto subordinata, ridurre i limiti dell’anzianità contributiva e anagrafica a partire dai quali si applicano le “penalizzazioni”.

3) Attenuare gli effetti derivanti dall’elevazione da 53 a 58 anni dell’età minima per l’accesso alla pensione anticipata con il sistema retributivo pieno – conseguenza indiretta dell’applicazione del sistema contributivo per tutti dal 1 gennaio 2012 – attraverso l’estensione temporale della disciplina transitoria, di cui all’articolo 5, comma 3, dello schema di regolamento, nonché di altri meccanismi che consentano un accesso alla pensione anticipata “differenziato” e spalmato nel tempo per il personale interessato. L’intervento si rende necessario in relazione alla già elevata età media del personale in servizio (44,05 anni) ed all’esigenza di assumere personale giovane, tenuto conto, in particolare, dei riflessi derivanti dall’introduzione del recente blocco del turn over che produrrà i suoi effetti nello stesso quinquennio di massima applicazione dello “scalone”, originato dall’immediata elevazione di ben cinque anni dell’età minima per l’accesso alla pensione anticipata del personale delle Forze di Polizia.

4) Ridurre di due anni, relativamente alla fase transitoria e di almeno tre anni per quella a regime, i requisiti contributivi del sistema delle quote per l’accesso alla pensione anticipata, atteso che i limiti previsti consentirebbero l’accesso alla pensione anticipata al solo personale immesso in servizio con un’età inferiore a 22 anni, che rappresenta, in particolare per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, una assoluta minoranza, considerato che l’età media di accesso ai ruoli è superiore a 26 anni.

5) Estendere dal 2018 al 2021 la disciplina transitoria per l’elevazione dei limiti di età per l’accesso alla pensione di vecchiaia, di cui alle tabelle A e B, tenuto conto dell’elevata età media del personale in servizio e dei peculiari meccanismi di progressione in carriera, in particolare, del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, anche al fine di evitare una consistente riduzione delle promozioni di funzionari e dirigenti con riflessi negativi sulle legittime aspettative degli interessati e sul funzionamento delle strutture.

6) Va risolto il disallineamento della componente civile del Comparto, come i Funzionari di Polizia, rispetto agli Ufficiali di grado corrispondenti dei Corpi militari, che accedono parimenti al ruolo per cui è previsto il possesso della laurea, i cui periodi di studio dei rispettivi corsi di laurea, sono però automaticamente riconosciuti ai fini previdenziali, senza alcun onere per il solo interessato che appartiene ad un Corpo militare, ai sensi dell’articolo 32 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092.

7) Va, inoltre, eliminato il blocco economico previsto dall’art. 9, commi 9 e 21, del D.L. 78/2010 ai fini previdenziali, particolarmente penalizzante per tutto il personale, appartenente a qualsiasi ruolo e qualifica, che promosso nel triennio 2011/13 è stato o sarà collocato a riposo per raggiunti limiti d’età, al riguardo il ruolo dirigenziale è certamente quello su cui grava il maggior sfavore.

Roma, 30 Maggio 2013

ALLEGATO TABELLA

AUDIZIONE PREVIDENZA 30 MAGGIO 2013