Oggetto: bozza di decreto legge Forze di Polizia.

 

Al Ministro dell’Interno

Prefetto Matteo Piantedosi

 

e, p.c.

Al Capo della Polizia

Direttore Generale della Pubblica Sicurezza

Prefetto Vittorio Pisani

 

 

 

A seguito dell’incontro con la S.V. sullo schema di decreto legge riguardante le Forze di polizia, si evidenzia come alcune misure rispondano a reali esigenze organizzative. Tra queste, l’art. 8 che riduce a un anno il periodo minimo di permanenza nella qualifica di Vice Questore e nelle qualifiche equiparate dei tecnici e dei medici, ai fini dello scrutinio per l’accesso a Primo Dirigente.

Questa modifica consentirebbe ai funzionari più giovani, e già pronti ad assumere incarichi di rilievo, di essere valutati in tempi più rapidi, favorendo un abbassamento dell’età media dei dirigenti. Al riguardo, è opportuno evidenziare che l’anticipazione dei tempi di scrutinio significa solo un’opportunità per la promozione non un avanzamento automatico.

Tuttavia, occorre garantire un equilibrio con le aspettative di chi, in base al regime attuale, ha già maturato i requisiti di scrutinabilità e ha costruito il proprio percorso di carriera su tempi e regole diverse. Oggi, infatti, ma anche in futuro, la progressione dipende da un equilibrio dinamico tra disponibilità dei posti funzione, numero degli scrutinabili, merito, esperienza e disponibilità alla mobilità. Una riduzione drastica, e poco ragionata, dei tempi per la scrutinabilità rischierebbe, nel medio periodo, di saturare la fascia dei Primi Dirigenti, rallentando di fatto le carriere dei Vice Questori e degli omologhi tecnici e medici.

È quindi necessario, soprattutto, accompagnare questa misura con azioni di riequilibrio, tra chi ha aspettato molti anni per essere scrutinato e chi potrà essere scrutinato in tempi più brevi, ma anche con una comunicazione trasparente, per evitare che chi ha affrontato percorsi lunghi e selettivi – spesso oltre 20 anni di servizio – percepisca questa modifica come un ingiusto trattamento del personale con maggiore anzianità, maturando un inevitabile senso di frustrazione.

In questa corretta ottica appare collocarsi il successivo art. 24 dello schema di decreto, che prevede un ampliamento degli organici dirigenziali: 45 nuovi posti da Primo Dirigente del ruolo ordinario, 12 da Primo Dirigente tecnico e 5 da Dirigente Superiore tecnico. Si tratta di un intervento coerente e necessario, che rende più armonica la riduzione dei tempi di permanenza, evitando rigidità del sistema.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, l’aumento dei posti avrà effetti differenziati a seconda dei profili professionali. Sarà quindi fondamentale che l’Amministrazione stabilisca criteri chiari e trasparenti per la distribuzione dei nuovi posti funzione, così da valorizzare le diverse competenze e rispondere in modo equilibrato alle esigenze di sicurezza e innovazione tecnologica.

L’ampliamento dell’organico rappresenta un risultato significativo e una prima risposta concreta alle storiche richieste avanzate dall’ANFP fin dal riordino del 2017. Si tratta di un passo importante verso l’adeguamento strutturale necessario per affrontare le nuove sfide organizzative e garantire prospettive di carriera più eque e sostenibili ai funzionari di polizia.

Inoltre, il medesimo art. 8 dello schema di decreto sulle Forze di Polizia reintroduce la procedura concorsuale per l’accesso alla qualifica di Primo Dirigente nel ruolo ordinario, tecnico e medico, nel limite del 10% dei posti disponibili al 30 giugno ed al 31 dicembre di ogni anno.

Si tratta di una previsione che, nelle intenzioni dell’Amministrazione, mira a favorire una più rapida progressione di carriera per i funzionari dotati di particolare preparazione giuridica e professionale, affiancando allo scrutinio per merito comparativo un ulteriore canale selettivo di tipo concorsuale.

La norma riguarda sia i funzionari con la qualifica di Vice Questore ed equiparate, sia coloro che nella qualifica di Vice Questore Aggiunto ed equiparate abbiano maturato gli anni di servizio richiesti per l’accesso alla qualifica superiore.

La reintroduzione di questa modalità di accesso presenta aspetti positivi che meritano di essere sottolineati. In primo luogo, essa rappresenterebbe un riconoscimento del merito individuale, valorizzando quelle figure che, per competenza, formazione e risultati, dimostrano di essere pronte ad assumere responsabilità dirigenziali anche prima dei tempi ordinari.

In secondo luogo, si tratta di una misura che può contribuire a dinamizzare la struttura dirigenziale, favorendo il ricambio generazionale, e incentivando un percorso di crescita fondato non solo sull’anzianità ma anche su capacità e preparazione giuridica.

Tuttavia, accanto a questi elementi positivi, è opportuno considerare con attenzione alcuni aspetti critici. Anzitutto, la coesistenza tra la procedura concorsuale e lo scrutinio per merito comparativo impone una riflessione sull’equilibrio generale del sistema di avanzamento: occorre evitare che si generino squilibri percepiti e reali tra funzionari che percorrono via diverse per accedere alla medesima qualifica.

In particolare, la previsione di un accesso accelerato tramite concorso potrebbe generare tra chi ha affrontato lunghi e selettivi percorsi per raggiungere la stessa qualifica (spesso dopo oltre vent’anni di servizio) un senso di incomprensione o frustrazione se non di demotivazione, qualora non si accompagnasse a una rigorosa selezione dei candidati.

Altro elemento da considerare riguarda l’attuazione concreta della misura: l’esperienza passata insegna che la previsione di concorsi può restare sulla carta se non sostenuta da bandi regolari, procedure trasparenti e criteri valutativi solidi. È dunque essenziale che tale canale concorsuale non diventi uno strumento episodico o meramente formale, ma trovi applicazione coerente e strutturata, con piena valorizzazione delle competenze effettive e del profilo professionale richiesto dalla dirigenza.

In passato, infatti, concorsi analoghi hanno promosso al massimo un solo candidato o nessuno, generando un senso di inutilità e sfiducia tra i funzionari, non a caso nelle ultime edizioni, la partecipazione è risultata esigua, a conferma della scarsa credibilità che questa modalità selettiva avesse all’interno della categoria.

Per evitare che si ripeta quanto già accaduto, sarà quindi fondamentale ripristinare la fiducia nel meccanismo, assicurando che esso sia realmente in grado di premiare il merito e rappresentare una reale opportunità professionale per i funzionari più preparati. La misura del concorso va vista con attenzione e prudenza, riconoscendone il potenziale ma tenendo conto delle esperienze pregresse, che hanno mostrato come l’efficacia di strumenti simili dipenda dalla concretezza dell’attuazione, dalla trasparenza delle procedure e dalla reale accessibilità. Solo così potrà trasformarsi in un’opportunità credibile e meritocratica, capace di rafforzare il sistema e valorizzare le competenze migliori, nel rispetto delle regole di equità e del valore dell’esperienza maturata da chi ha servito a lungo l’Amministrazione con professionalità e dedizione.

L’articolo 9 dello schema di Decreto legge interviene sull’ampliamento delle classi di laurea utili per la partecipazione ai concorsi pubblici e interni, per l’accesso alla carriera dei funzionari di polizia. Si prevede che l’individuazione delle classi di laurea venga affidata ad un decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, in considerazione della varietà di funzionari che caratterizzano oggi la figura del funzionario di polizia non solo sul piano giuridico ma anche organizzativo, gestionale e tecnologico.

Questa apertura risponde a un’esigenza reale: la crescente complessità delle sfide che la Polizia di Stato affronta ogni giorno richiede competenze sempre più diversificate. In tal senso, l’allargamento del requisito di laurea costituisce un’opportunità per attrarre profili con percorsi formativi eterogenei, in grado di portare valore aggiunto all’interno dell’organizzazione. È anche una misura che può ampliare la platea dei candidati e contribuire a contrastare le flessioni delle domande registrate nei concorsi.

Tuttavia, l’innovazione proposta va vista con equilibrio.

Da un lato, non si può non apprezzare l’intento di rendere l’accesso più flessibile e coerente con la realtà delle funzioni svolte. Dall’altro è necessario evitare che l’estensione sia troppo ampia o poco selettiva, con il rischio di compromettere l’identità professionale e la preparazione di base, in particolare sul versante giuridico-istituzionale, che resta imprescindibile per chi opera in ambito di pubblica sicurezza.

Va, inoltre, osservato che la scelta di affidare al Capo della Polizia la definizione delle classi di laurea, pur garantendo flessibilità e rapidità nell’adeguamento alle esigenze operative, comporta un’elevata discrezionalità amministrativa. Sarà, quindi, fondamentale assicurare criteri chiari, trasparenti e motivati, anche per evitare il rischio di contestazioni o percezioni di arbitrarietà, specie tra coloro che potrebbero trovarsi esclusi per difformità interpretative.

In sintesi, la disposizione contenuta nell’art. 9 introduce una novità condivisibile nello spirito, ma che dovrà trovare applicazione rigorosa e bilanciata. L’obiettivo deve restare quello di rafforzare la dirigenza con competenze adeguate alle sfide attuali, senza indebolire i presupposti culturali e professionali che definiscono la funzione del dirigente di polizia. Un approccio orientato alla qualità più che sulla quantità, sarà decisivo per garantire il successo della norma.

Inoltre, l’articolo 9 dello schema di decreto legge introduce una modifica significativa nei criteri di assegnazione dei Funzionari al termine del corso di formazione: non sarà più la sola graduatoria finale a determinare la sede sulla base delle preferenze espresse, ma l’assegnazione avverrà in relazione alle esigenze dell’Amministrazione tenendo conto dei profili dei frequentatori. Si tratta di una disposizione che intende, evidentemente, garantire una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse umane e una più razionale corrispondenza tra competenze individuali e fabbisogni operativi.

Tuttavia, essa determina anche un ridimensionamento del peso del merito sancito nella graduatoria, con il rischio di generare percezioni di iniquità proprio nella fase di ingresso nella carriera. Per evitare che tale flessibilità si traduca in eccessiva discrezionalità sarebbe auspicabile introdurre un limite chiaro all’ampiezza della scelta amministrativa, riconoscendo ai funzionari, in base all’ordine di graduatoria, il diritto di indicare almeno la regione di assegnazione. Ciò rappresenterebbe un punto di equilibrio tra le esigenze dell’Amministrazione e la tutela del principio meritocratico, garantendo trasparenza e rispetto delle legittime aspettative di chi ha ottenuto un buon posizionamento nel corso. Al tempo stesso resta centrale la necessità di accompagnare questa misura con adeguate politiche alloggiative iniziando in particolare per le sedi meno attrattive o più disagiate: l’effettiva disponibilità di alloggio di servizio, o l’avvio di un programma strutturale per la loro realizzazione e assegnazione, rappresenta un prerequisito essenziale per rendere sostenibile qualsiasi forma di assegnazione. In conclusone, pur comprendendo la ratio organizzativa della norma, è fondamentale che la sua applicazione sia improntata a criteri di equilibrio, trasparenza e sostenibilità salvaguardando il valore del merito, il rispetto della dignità personale e professionale dei neo funzionari e l’efficienza complessiva del sistema.

Infine, l’articolo 9 dello schema di decreto legge prevede, in via limitata agli anni 2025 e 2026, la possibilità di ammettere allo scrutinio per la qualifica di Dirigente Superiore Tecnico anche quei Primi Dirigenti Tecnici che abbiano maturato almeno tre anni di effettivo servizio nella qualifica, entro le date del 30 giugno e del 31 dicembre dei rispettivi anni.

La ratio della norma appare chiara: si intende ampliare la platea degli scrutinabili, offrendo all’Amministrazione una più ampia possibilità di valutazione tra le risorse disponibili, con l’obiettivo di selezionare i profili migliori e più rispondenti alle esigenze operative del sistema tecnico della Polizia di Stato.

La misura, nella sua logica, risponde a esigenze funzionali legate alla copertura di posizioni apicali e alla valorizzazione di dirigenti tecnici che, pur con minore anzianità, hanno dimostrato competenza e capacità di assumere ruoli di maggiore responsabilità. In questo senso, rappresenta una leva di flessibilità che può contribuire a rendere più dinamica la struttura dirigenziale.

Tuttavia, è necessario valutarla con attenzione e cautela, in considerazione della sua natura temporanea e derogatoria rispetto alle regole ordinarie di carriera. Una norma transitoria, infatti, se non adeguatamente motivata e gestita, rischia di essere letta come una forzatura, se non addirittura come una norma ad personam, pensata per includere taluni ed escluderne altri.

Questo rischio si acuisce laddove la norma venga percepita come uno strumento per aggirare lo scrutinio ordinario, introducendo criteri di selezione non previsti dal sistema attuale. Ne potrebbe derivare un senso di frustrazione o delegittimazione da parte di chi, avendo già maturato i requisiti ordinari, potrebbe vedersi superato da colleghi con minore anzianità ma ritenuti più “adatti” in base a valutazioni discrezionali.

Per queste ragioni, è fondamentale che la misura sia applicata in modo trasparente, motivato e rispettoso del principio di imparzialità, evitando che venga interpretata come una forma surrettizia di selezione interna, fuori dalle regole generali.

In conclusione, si tratta di una previsione che può rispondere a necessità contingenti dell’Amministrazione, ma che non può prescindere da una gestione attenta e responsabile. Serve chiarezza nelle motivazioni, equilibrio nella valutazione dei profili, e soprattutto rispetto per le aspettative di chi ha costruito nel tempo, con competenza e dedizione, il proprio percorso professionale. Solo così una deroga temporanea potrà essere letta come un’opportunità utile e non come una misura arbitraria.

L’articolo 10 dello schema di decreto legge introduce una misura significativa per il settore sanitario della Polizia di Stato, prevedendo l’accesso diretto alla dirigenza per il personale medico con la qualifica di Medico Capo, equiparata a quella di Vice Questore Aggiunto. La qualifica di Medico Principale rimane limitata al solo periodo di frequenza del corso di formazione.

L’obiettivo della norma è dichiaratamente funzionale: contrastare il calo di attrattività del ruolo medico nella Polizia di Stato, dovuto a limitate prospettive di carriera e retribuzione, che stanno determinando gravi carenze di organico, con ricadute negative sulla tenuta e sull’efficienza dei servizi sanitari dell’Amministrazione.

La previsione, nel suo impianto, appare condivisibile per le finalità che persegue, rispondendo a un’urgenza concreta anche in considerazione del fatto che a coloro che effettuano il concorso viene richiesta la laurea in medicina e chirurgia (6 anni di studio) ed una specializzazione (4 anni di studio). Tuttavia, essa solleva alcune criticità sul versante ordinamentale e dell’equità delle scelte, che non possono essere sottovalutate.

Come già rilevato, l’accesso diretto alla dirigenza può rappresentare un incentivo all’ingresso e alla permanenza del personale medico, in un momento storico in cui è crescente la difficoltà di reperire specialisti disposti a scegliere un percorso pubblico, ancor più se con prospettive di crescita modeste.

Inoltre, la semplificazione dell’iter di carriera, con l’eliminazione delle qualifiche direttive intermedie, consente una maggiore trasparenza, chiarezza e attrattività del percorso professionale.

L’intervento è poi reso economicamente sostenibile grazie alla copertura degli oneri mediante i risparmi di spesa derivanti dalla soppressione delle qualifiche intermedie, evitando nuovi oneri a carico della finanza pubblica.

Tuttavia, la proposta normativa pone perplessità legittime sul piano dell’equità e della coerenza del sistema ordinamentale nel suo complesso. In primo luogo, essa genera una disparità evidente rispetto ai funzionari dei ruoli ordinario e tecnico, i quali – pur svolgendo funzioni di pari responsabilità e sacrificio – sono tenuti a percorrere lunghi iter di carriera, accumulando anzianità prima di poter accedere alla dirigenza.

Se il principio da affermare è quello della valorizzazione della responsabilità, esso deve essere declinato in modo coerente e sistematico, evitando che solo una categoria, per quanto importante e specializzata, sia destinataria di un trattamento esclusivo.

Un ulteriore elemento di riflessione riguarda il fatto che i medici, così come gli psicologi, possono esercitare la libera professione, beneficiando di un vantaggio economico significativo. Questa opportunità non è riconosciuta ad altre figure tecnico-professionali presenti nella Polizia di Stato – come ingegneri, chimici o biologi – anch’essi iscritti ad albi professionali e soggetti a vincoli di esclusività, come non è altresì estesa ai funzionari del ruolo ordinario.

Va, inoltre, considerato il rischio di demotivazione interna: i medici già in servizio, che hanno impiegato anni per raggiungere la qualifica di Medico Capo del ruolo ordinario potrebbero percepire una forma di ingiustizia nell’ingresso immediato nella dirigenza di colleghi appena assunti, qualora non gli venisse ricostruita la carriera dal punto di vista economico. Analogamente, i Commissari Capo – che raggiungono la qualifica dopo otto anni di servizio – potrebbero vedere con disagio un parallelismo retributivo e funzionale con i nuovi medici dirigenti, alimentando tensioni profonde.

Va evidenziato, con la necessaria chiarezza, che la crisi di attrattività non riguarda soltanto il settore medico, pur essendone oggi la manifestazione più evidente. Si tratta solo della punta di un iceberg di un problema che investe seriamente anche i ruoli ordinari e tecnici, e che rischia, se non affrontato con una visione sistematica, di compromettere la capacità futura dell’Amministrazione di selezionare, trattenere e valorizzare le migliori risorse.

I segnali sono già sotto gli occhi di tutti: nei concorsi pubblici più recenti per l’accesso alla carriera dei funzionari, sia ordinari che tecnici, si sono registrati cali significativi delle domande e con candidati rinunciatari durante il corso di formazione e nei primi anni di servizio. È un campanello d’allarme che non possiamo ignorare, e ancor meno permetterci di affrontare la questione quando i relativi concorsi andranno semi deserti. A quel punto, infatti, non sarebbe più solo il funzionamento dell’Amministrazione a risentirne, ma la stessa sicurezza dei cittadini verrebbe messa a rischio per effetto della mancata copertura di ruoli chiave sul territorio.

La verità, forse scomoda ma ineludibile, è che il mercato del lavoro – anche quello pubblico – offre oggi ai giovani laureati con titoli specialistici opportunità più attrattive in termini di progressione economica, di riconoscimento professionale e di carriera rispetto a quanto la nostra Amministrazione è attualmente in grado di proporre.

Le nuove generazioni non cercano solo “un posto fisso”, ma percorsi motivanti, mobilità orizzontale e verticale, ambienti innovativi, possibilità concrete di crescita e gratificazioni economiche. Se non saremo in grado di aggiornare il modello di carriera anche per i funzionari ordinari e tecnici, non basterà rafforzare un singolo settore, per quanto essenziale come quello medico, a evitare il progressivo impoverimento professionale del sistema nel suo complesso.

È quindi urgente un intervento organico, che vada oltre le risposte settoriali, e che ponga al centro la valorizzazione del merito, la semplificazione dei percorsi e l’adeguamento dei trattamenti economici, in un’ottica di sostenibilità e di visione strategica del ruolo della dirigenza di Polizia. Solo così potremo garantire un futuro solido e attrattivo alla nostra Amministrazione e continuare ad assicurare, in modo qualificato, la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni.

In conclusione, l’articolo 10 interviene su una necessità concreta e urgente dell’Amministrazione, offrendo una soluzione chiara e potenzialmente efficace per rafforzare la componente sanitaria della Polizia. Tuttavia, affinché la misura sia equilibrata e sostenibile, occorre accompagnarla da:

  • una rigorosa gestione della fase transitoria,
  • un rafforzamento del percorso formativo per i neo-dirigenti medici,
  • una riflessione più ampia su analoghi interventi negli altri ruoli della dirigenza ordinaria e tecnica.

Solo in questo modo sarà possibile rafforzare il sistema senza minarne la coesione interna, evitando disuguaglianze strutturali e valorizzando tutte le professionalità impegnate al servizio della sicurezza pubblica.

Infine, consentiteci, nonostante la portata della norma, di dubitare che essa riesca a conseguire l’obiettivo dichiarato, ovvero il rafforzamento effettivo della capacità attrattiva dell’Amministrazione nei confronti dei medici.

Perché, la vera criticità non risiede tanto nella qualifica iniziale, quanto nell’intero contesto competitivo in cui si colloca l’offerta della nostra Amministrazione.

I settori pubblici della sanità, in particolare il Servizio Sanitario Nazionale come dell’Istituto Nazionale della provvidenza sociale, continuano infatti a offrire condizioni economiche più vantaggiose, flessibilità organizzativa, possibilità di carriera con margini più ampi rispetto a quanto previsto dall’ordinamento attuale della Polizia di Stato.

Per questa ragione, appare necessario un cambio di paradigma: meglio sarebbe consentire l’accesso ai medici nella Polizia di Stato già al conseguimento della laurea, senza attendere la specializzazione, e costruire un percorso ordinamentale interno che ne accompagni la crescita al pari degli altri ruoli.

Richiedere obbligatoriamente la specializzazione per l’assunzione, come avviene oggi, ha dimostrato di essere un fattore limitante che, più che elevare il livello qualitativo, ha reso i concorsi poco appetibili tanto che essi vanno semi deserti.

In questa prospettiva, sarebbe auspicabile una revisione complessiva e coraggiosa del ruolo medico.

L’articolo 23 dello schema di decreto introduce un insieme articolato di misure volte a regolamentare in modo più stabile e funzionale la gestione dei dirigenti della Polizia di Stato impegnati in incarichi esterni o interforze, nonché a salvaguardare l’assetto della dirigenza nel sistema sicurezza. Tali interventi si suddividono in tre direttrici principali:

  1. Collocamento in posizione di fuori ruolo

La norma dispone il collocamento in posizione di fuori ruolo per i dirigenti della Polizia di Stato preposti:

  • all’Ufficio presidenziale della Polizia di Stato presso la Presidenza della Repubblica,
  • all’Ispettorato di pubblica sicurezza “Vaticano”,
  • alla struttura di coordinamento del Commissario Straordinario per le persone scomparse, nonché, su richiesta, anche per un dirigente medico presso il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica.
  1. Posizione di disponibilità: limite strutturale del 3,5% dell’organico complessivo e non più collegato alle qualifiche

La norma introduce un tetto strutturale del 3,5% della dotazione organica delle qualifiche dirigenziali come limite massimo per i dirigenti collocabili in posizione di disponibilità, cioè non assegnati a incarichi specifici ma formalmente in servizio.

  1. Collocamento in soprannumero per posizioni apicali presso organismi interforze, centrali antidroga e antimafia

Si prevede la possibilità di collocamento in soprannumero (cioè fuori dotazione organica) per il personale destinato a incarichi dirigenziali apicali presso:

  • la Direzione Investigativa Antimafia (DIA),
  • la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga,
  • la Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia.

La misura risponde all’esigenza di non sottrarre risorse operative alle Forze di Polizia per coprire posizioni centrali e di coordinamento, che pur essendo strategiche, sono spesso esterne all’organigramma diretto delle singole Forze.

3a. Collocamento in soprannumero per incarichi di vertice presso enti e organismi UE

L’innovazione prevede il collocamento in soprannumero per dirigenti delle Forze di Polizia destinati a incarichi di vertice presso organismi dell’Unione Europea, come previsto dalla legge 1114/1962, specificando che la nomina non produce effetti ai fini di promozioni o avanzamenti, e che il personale rientrante resta in soprannumero agli organici fino al collocamento a riposo ovvero fino alla promozione alla qualifica superiore evitando così sovrapposizioni nella dotazione organica al rientro in servizio.

Pertanto, l’articolo 23 del decreto-legge rappresenta un passaggio rilevante verso la costruzione di un sistema più ordinato, trasparente e funzionale nella gestione del personale dirigenziale della Polizia di Stato impiegato in posizioni non operative, fuori ruolo o esterne all’Amministrazione.

In un contesto in cui le esigenze di rappresentanza istituzionale, di cooperazione interforze e di supporto a strutture di alta rilevanza – come la Presidenza della Repubblica, la Santa Sede, organismi europei e internazionali – sono sempre più frequenti, si avvertiva da tempo la necessità di disciplinare in modo organico e stabile questi incarichi, spesso affidati sulla base di prassi consolidate ma non pienamente normate o con vincoli legislativi sotto il profilo della consistenza organica delle varie qualifiche.

La norma risponde innanzitutto all’esigenza di preservare la funzionalità dell’organico effettivo della Polizia di Stato, evitando che i dirigenti impiegati in incarichi esterni – per quanto prestigiosi o strategici – continuino a gravare formalmente sulla dotazione organica, sottraendo risorse ai ruoli operativi. La previsione di un collocamento in fuori ruolo o in soprannumero, accompagnata da limiti numerici e coperture finanziarie dedicate, consente di mantenere intatto l’equilibrio delle dotazioni interne, senza penalizzare né l’Amministrazione né il servizio reso all’esterno.

Allo stesso tempo la novella intende prevenire l’erosione silenziosa della struttura dirigenziale, che nel tempo potrebbe svuotarsi della sua componente più esperta o specializzata a vantaggio di incarichi esterni, se non adeguatamente regolata. Formalizzare questi percorsi con strumenti giuridici chiari – come le posizioni di disponibilità, fuori ruolo o soprannumero – significa anche rafforzare la responsabilità dell’Amministrazione nel programmare, monitorare e rendicontare la mobilità della propria dirigenza.

Il provvedimento introduce, inoltre, un importante principio di equilibrio finanziario e organizzativo, evitando che gli incarichi esterni producano effetti distorsivi sulle promozioni, sugli avanzamenti di carriera o sul rientro nei ruoli, come spesso è avvenuto in passato in assenza di disposizioni legislative specifiche.

Infine, il riconoscimento normativo della possibilità di assegnare dirigenti in soprannumero ad incarichi apicali interforze, come la DIA, la DCSA o la Scuola di Perfezionamento, rafforza l’identità e il ruolo della Polizia di Stato all’interno del sistema sicurezza nel suo complesso, favorendo la presenza qualificata e continuativa della componente dirigenziale nei nodi strategici del coordinamento interforze.

In definitiva per le scriventi organizzazioni sindacali l’art. 23 rappresenta un’operazione di chiarezza, equilibrio e responsabilità istituzionale. Introduce regole che non solo rispondono alle esigenze organizzative attuali, ma pongono le basi per una gestione più moderna, trasparente e sostenibile delle risorse dirigenziali, valorizzando le competenze, tutelando gli organici e salvaguardando la credibilità del sistema.

Roma, 9 settembre 2025

DECRETO FORZE POLIZIA 9 SETT 2025 ANFP_SIAP