397-2finiOggetto: Intercettazioni

Signor Presidente,
è innegabile come in questi anni si siano registrati imperdonabili abusi nella gestione delle intercettazioni sia all’interno che all’esterno della sfera del procedimento penale. Ed è fuori discussione come sia necessario preservare ogni singolo cittadino, indipendentemente dal suo ruolo (pubblico o privato) dal rischio cui lo espone la tristemente nota “gogna mediatica” che a tali abusi inevitabilmente consegue.
Le intercettazioni sono in grado di produrre effetti fortemente invasivi sulla privacy, ma riteniamo, comunque, con serena convinzione che il diritto alla riservatezza dell’individuo nel gioco dei contrappesi tra gli interessi coinvolti nell’esercizio della funzione inquirente debba trovare garanzie in un efficace sistema di tutela procedimentale con una maggiore responsabilizzazione di tutti i soggetti che partecipano alle indagini preliminari.
Senonchè, quello che può definirsi come un equo contemperamento tra diritto alla riservatezza ed interesse ad una più efficace persecuzione e prevenzione del crimine, egualmente dotati di copertura costituzionale, sembra che nel DDL sulle intercettazioni in discussione al Senato stia per cedere il passo ad un consistente sbilanciamento in favore del diritto alla privacy.
Se il problema fosse davvero e solo quello di evitare, da un lato, l’abuso di uno strumento che resta assolutamente insostituibile sotto il profilo investigativo e, dall’altro, quello di comprimere i costi in termini di diritti, non si comprende perché si colpisca a monte con ingiustificabili divieti e preclusioni, confezionando una cura che rischia di produrre effetti ben più devastanti sulla sicurezza dei cittadini del male che si vuole prevenire.
Le intercettazioni sono un prezioso strumento di ricerca della prova di cui l’intero apparato investigativo a disposizione della magistratura e delle forze di polizia non può davvero fare a meno.
Esaminiamo adesso – limitatamente alle immediate ricadute sull’attività di polizia giudiziaria – alcune delle disposizioni contenute nell’atto senato n. 1611 recante “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”.
Innanzitutto, con la modifica dell’art. 266, comma 1, codice di procedura penale la disciplina in tema di intercettazione viene estesa, difformente da un consolidato orientamento giurisprudenziale, anche all’acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni, la cui “aggressività” rispetto al diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti non pare in alcun modo assimilabile a quella delle intercettazioni.
Così, anche la possibilità di verificare la presenza di soggetti, in determinati luoghi ed in determinate ore o i loro spostamenti e la disponibilità di un validissimo strumento di riscontro di elementi evidenziati nella fase delle indagini preliminari, sarà inaccettabilmente e pesantemente limitata.
Occorre, altresì, evidenziare che l’analisi dei tabulati telefonici può costituire un utile strumento di individuazione delle utenze da sottoporre ad attività di intercettazione, proprio per evitare che si richiedano intercettazioni superflue.
Vi sono, poi, dei reati in relazione ai quali già adesso non è prevista la possibilità di disporre intercettazioni e per i quali, però, l’acquisizione della documentazione afferente al traffico telefonico, oggi ancora possibile, rappresenta uno strumento essenziale sia per la ricostruzione dei fatti sia per l’individuazione dei colpevoli.
Ad esempio, nel caso di furto di telefono cellulare o di computer portatile, data la possibilità di individuare sulla rete mobile o telematica il corpo di reato sviluppando i relativi codici identificativi, benchè non sia ammissibile l’intercettazione delle conversazioni, l’acquisizione del traffico telefonico o telematico può garantire l’individuazione dell’autore del furto (ma anche quello delle ricettazioni) soddisfacendo la domanda di sicurezza nel settore dei reati predatori, che sono tra quelli che destano maggiore allarme sociale.
Con la modifica dell’art. 267 del codice di procedura penale, al comma 1, lett. b) “nei casi di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione, le utenze sono intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti indagati …”
Altro punto critico, riguarda la possibilità di intercettare utenze telefoniche pubbliche o i cosidetti “internet point”. Per poter procedere ad una intercettazione sarebbe, infatti, necessario che l’utenza fosse intestata all’indagato ovvero risulta a questi effettivamente ed attualmente in uso.
Dalla formulazione letterale della norma, se nel corso di un servizio di polizia giudiziaria, anche, per esempio dall’intercettazione dell’utenza o della posta elettronica dell’indagato, emergesse la circostanza che il medesimo userà un telefono pubblico o altra utenza si dovrà attendere l’attualità che si verifichi l’evento, per poi richiedere la nuova intercettazione anche se si conoscessero in anticipo i numeri dell’utenza che verrà usata.
Nella sostanza l’indagato, cambiando utenza con la suddetta modalità, sfuggirebbe ad ogni possibilità di intercettazione, poiché si dovrà preliminarmente dimostrare che il telefono è effettivamente ed attualmente in uso al medesimo mediante un’attività diversa dall’ascolto in corso. Si concederà, così, un vantaggio ingiustificato a chi delinque, specie a quelle bande criminali dedite alla commissione di reati predatori i cui membri sono soliti cambiare utenza con estrema facilità.
Sempre con la modifica dell’art. 267, comma 1, lett. b) “nei casi di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione, …. ovvero sono intestate o effettivamente e attualmente in uso a soggetti diversi che, sulla base di specifici atti di indagine, risultano a conoscenza dei fatti per i quali si procede e sussistono concreti elementi per ritenere che le relative conversazioni o comunicazioni siano attinenti ai medesimi fatti;”
Altro aspetto, che merita senz’altro di essere rivisto, riguarda le intercettazioni di utenze intestate o in uso a soggetti diversi dall’indagato, poiché la norma in fase di approvazione prevede la possibilità di intercettare per i soli casi in cui la terza persona intestataria o usuaria del telefono sia a conoscenza dei fatti per cui si procede.
In merito, si evidenzia – ad esempio – la frequente ipotesi in cui siano stati identificati alcuni presunti autori di una rapina a mano armata ai danni di una banca o di un istituto di trasporto valori, i cui indizi portano a ritenere la presenza di un basista infedele in essi, elemento questo che risultando ignoto agli altri dipendenti impedirebbe l’intercettazione delle utenze di quest’ultimi, facendo, così, perdere elementi che potrebbero risultare di svolta ( lo è stato in molti casi) per le indagini.
Perciò, se più soggetti appartenenti ad uno dei suddetti enti dovessero essere oggetto di operazioni di intercettazioni o di semplice analisi di traffico telefonico o telematico, per procedervi non soltanto gli stessi dovranno sapere che c’è il sospetto che esista un basista interno, ma sarà, altresì, necessario dimostrare che la loro condotta è direttamente collegata ai fatti.
Inoltre, va osservato che è davvero difficile aspettarsi che le ragioni che inducono un appartenente ad un organizzazione criminale, sia di stampo mafioso che terroristica, ad utilizzare per finalità illecite un’utenza telefonica nella disponibilità di altri, incluse quelle installate in esercizi pubblici o aperti al pubblico, possano essere note ai relativi titolari.
Dunque, nel caso in esame, anche nel corso dei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51 commi 3 bis e 3 quater del codice di procedura penale, per avviare un’attività di intercettazione, congiuntamente ai sufficienti indizi di reato, sarà richiesto che i titolari delle utenze oggetto di ascolto siano a conoscenza dei fatti per cui si procede, con la conseguenza che le indagini in tema di mafia e terrorismo risulteranno letteralmente paralizzate.
Altra criticità per le indagini è quella relativa alle intercettazioni ambientali poiché saranno possibili solo “se vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi ove è disposta si stia svolgendo l’attività crminosa”, estendendo così la disposizione attualente in vigore per l’ipotesi in cui le intercettazioni siano svolte all’interno di un’abitazione, di un altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa, a tutti i casi di intercettazioni ambientali.
Ciò significa che le microspie non potranno esssere utilizzate quando il delitto è stato consumato poiché l’attività criminosa si è già, ovviamente, esaurita sotto il profilo materiale e dunque, d’altronde se l’investigare fosse convinto che in luogo si stia svolgendo un’attività criminale lo stesso è obbligato ad intervenire per arrestare nella flaganza i delinquenti. Le intercettazioni ambientali servono per ascoltare le conversazioni attinenti un crimine e non soltanto per sentire i rumori o i dialoghi mentre il reato è già in fase escutiva (con buona pace di ogni possibilità preventiva!).
Altro limite assolutamente incomprensibile ed estremamente dannoso è rappresentato dalla durata massima delle intercettazioni che verrebbe fissata in 30 giorni, ex art. 267 comma 3, prorogabili fino a 15 giorni. Un’ulteriore proroga di 15 giorni sarà possibile ove siano emersi nuovi elementi. Si potrà, avere, infine una terza proroga, sempre di altri 15 giorni, ove emerga l’esigenza di impedire che l’attivià delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero siano commessi altri reati.
Saremmo, quindi, proiettati dal sistema attuale in cui, con successive proroghe di 15 giorni, nel permanere dei presupposti di legge, la durata di un’intercettazione può arrivare fino alla conclusione delle indagini preliminari, ad un sistema in cui in modo assolutamente irragionevole dopo 60 o, al massimo, 75 giorni, l’intercettazione andrà comunque sospesa, prescindendo da quasiasi valutazione sul permanere di esigenze investigative, benché ancora in fase di indagini preliminari “aperte”, privando gli investigatori – senza rimedio – di quel minimo vantaggio che al momento, invece, è loro garantito. Le indagini hanno bisogno di tempo per permettere agli inquirenti di compiere il loro lavoro, individuando i responsabili, ricostruendo la catena degli eventi che hanno preceduto la commissione del fatto, oppure, evidenziando il modus operandi dei colpevoli.
Ipotizzare un sistema di proroghe successive di 48 in 48 ore appare frutto della totale assenza di valutazioni sia sul complessivo costo di carattere gestionale ed organizzativo (che si determinerà a carico delle forze dell’ordine, degli uffici dei pm e delle indagini preliminari) sia sulle innumerevoli ed imprevedibili variabili che caratterizzano un indagine.
Infine, va ricordato che assai di rado un’indagine relativa ai fatti di criminalità mafiosa si concentra, sin dal suo avvio, su un’ipotesi di associazione a delinquere, reato di difficile dimostrazione ed in ordine al cui accertamento assolutamente indispensabili si rivelano le intercettazioni destinate a durare sino a quando ce n’è effettivo bisogno, con il solo limite della chiusura delle indagini preliminari per reati come l’usura, l’estorsione, l’omicidio, l’attentato dinamitardo, lo spaccio di sostanze stupefacenti, l’incendio, la rapina, lo sfruttamento della prostituzione, lo scambio elettorale politico-mafioso, la corruzione, la concussione ed il peculato.
Grazie all’attuale sistema è stato, altresì, possibile salvare la vita a poliziotti, magistrati, imprenditori, nonché prevenire e reprimere gravissimi reati.
Le attività di ascolto si sono assai spesso rivelate cruciali anche nella tutela dell’integrità fisica degli appartenenti alla Forze dell’ordine, cui è stato possibile contare almeno – nei casi più fortunati – sulla conoscenza del contesto in cui intervenire (ad es. presenza di uomini armati, intenzioni dei criminali in azione, arrivo di ulteriori “rinforzi” per questi ultimi).
Ed ancora, il terribile colpo che si sta per assestare all’efficacia delle attività investigative finirà col determinare una crescita esponenziale delle ipotesi di “impunità” anche in situazioni nelle quali ci sarebbero state ottime probabilità di successo, così addossando specialmente sui Questori, in quanto garanti del mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica in ambito provinciale, un peso notevole e difficilmente gestibile, con le intuibili conseguenze nel “governo” del territorio.
Ed infine, saranno proprio le vittime di molti reati a pagare il prezzo più alto: come riusciremo a spiegargli il perché?

07/06/2010

Enzo Marco Letizia

Ripresa da Apcom, Adnkronos, Agi

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