Le sequenze ed i fotogrammi che non mostreranno mai cosa sia successo prima dell’intervento della Polizia e che mai inquadreranno l’intera scena, sono la base dell’arte della manipolazione finalizzata ad alimentare slogan e parole d’ordine come: “Cile di Pinochet? No, movida torinese”. O anche “di sera a Torino va in onda la violenza di Stato”, oppure “manganelli e repressione, così si gestisce l’ordine pubblico contro il popolo della notte”. E “sangue e caos, la polizia carica ragazzi dei centri sociali e i clienti dei bar”.

C’è davvero da essere preoccupati a leggere i commenti sui fatti avvenuti a Torino la sera del 19 giugno scorso, quando un gruppo di teppisti codardi ha voluto animare la sua serata, prima schernendo e insultando e poi aggredendo a pugni e calci poliziotti e funzionari.

Si tratta di un segnale inquietante perché il “dagli allo sbirro” non è limitato ai fan dei ribelli dell’apericena o ai sostenitori del “mi piace” a favore del professionismo antagonista, infatti: interviste e commenti di comuni cittadini e di esercenti dei locali torinesi hanno denunciato l’ingombrante e molesta presenza della Polizia, la sua immotivata e vendicativa azione repressiva esercitata, a loro dire, indiscriminatamente, che avrebbe suscitato profondo disagio nella pacifica clientela dei locali della movida e compromesso il giro di affari di bar e trattorie.

Al riguardo è verosimile ritenere che tra le voci critiche dell’operato delle forze dell’ordine, ci siano anche quelle che tante volte hanno reclamato una più attiva protezione, proprio di quelle strade e quei dehors di ritrovi e caffè, dalle incursioni di spacciatori e bulli, magari in lotta tra loro a colpi di bottiglie, quelle che hanno reclamato una più alta vigilanza contro la pressione intimidatoria della malavita e della sua manovalanza straniera, o quelle che hanno reclamato deterrenza e misure eccezionali di prevenzione e controllo per contrastare il pericolo di un terrorismo imprevedibile e bestiale che colpisce nel mucchio della gente che passeggia, che si gode un concerto, che festeggia una ricorrenza.

Si tratta delle istanze legittime di cittadini che sempre di più percepiscono la sicurezza come un bene primario, annoverandolo tra diritti inalienabili. Istanze che vengono interpretate da alcuni sindaci con la richiesta di estendere la portata e le facoltà loro attribuite dal Daspo urbano, che legiferano con ordinanze da sceriffo, che a volte si spingono a reclamare il valore aggiunto e muscolare dell’esercito, quando sarebbe, invece, indispensabile promuovere un efficiente coordinamento senza sovrapposizioni e sterili contrapposizioni. Al riguardo, va altresì ricordato che la violenza negli stadi per lunghi anni ebbe come alleato quell’ambiguo modo di far politica che strizzava l’occhio alle curve piene di teppisti.

Il fatto è che tutti, politica e media compresi, giustamente rivendicano l’esigenza di tutelare sicurezza e legalità nel rispetto di chiunque non rinunciando a libertà, prerogative e diritti. E noi per primi ne siamo convinti, tanto che continuiamo a svolgere questo delicato incarico cruciale ogni giorno, con spirito di sacrificio, abnegazione e una competenza che ci è riconosciuta dai successi ottenuti nel tutelare l’ordine pubblico in migliaia di manifestazioni, nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.

Ma proprio per questo le libertà non possono mai diventare licenza di trasgredire, che l’ordine e il decoro non sono un bene superficiale sul quale si possono sacrificare leggi e regole in nome del quieto vivere. E, senza vittimismo alcuno, abbiamo il diritto di difendere la nostra onorabilità e reputazione che politica, media e alcuni cittadini sembrano rispettare soltanto quando siamo in prima linea a difendere le loro vite e i loro beni.

Ciò nonostante, non verremo mai meno al nostro dovere di difendere le istituzioni democratiche e i cittadini. Ma esigiamo che il nostro lavoro e la nostra immagine siano rispettate, affinché non venga mai lesa la fiducia che la collettività ha nei nostri confronti, poiché siamo convinti che l’intesa tra cittadini e Polizia è la vera garanzia della cura dei diritti, delle libertà e delle leggi che le regolano. Per questo, nel prendere atto che l’informazione viene condizionata dall’arte della manipolazione, è giunta l’ora di dotare, senza se e senza ma, di microtelecamere i poliziotti quando operano nelle manifestazioni a rischio e nei contesti ambientali più caldi, per far conoscere all’opinione pubblica la verità sul nostro modo di agire. Quelle telecamere, oggi, in una realtà caratterizzata dal virtuale non sono solo una garanzia per i poliziotti ma sono uno strumento di difesa essenziale per la democrazia di questo Paese.

Roma, 23 giugno 2017
Enzo Marco Letizia

 

EDITORIALE 23 GIUGNO 2017