La scorsa settimana si è spento prematuramente Francesco Scinia, già segretario provinciale di Palermo dell’Associazione. Di seguito il ricordo di una collega: “Difficile fare a meno di Francesco Scinia”.
Pensare che lui c’era, presente nelle nostre vite, ci ha reso più forti e tenuto in equilibrio.
È iniziata come un’amicizia “normale”, un collega del Reparto Mobile di Palermo che andavi a trovare e che ti sorrideva sempre con un garbo antico quando ti vedeva. La voce sempre pacata, una naturale capacità di mediare le situazioni più delicate utilizzando sempre le parole giuste.
Un vero perno del Reparto Mobile, di Palermo, un Funzionario dall’azione equilibrata, preparato, colto, ironico, professionale e molto stimato.
In quegli anni nasceva e si rafforzava l’Associazione Nazionale Funzionari e Francesco era molto attivo su quel fronte, le mail che scriveva erano allegre, forti ed efficaci, aveva una penna fluida e brillante, e pur avendo a disposizione strumenti ben lontani da quelli attuali i suoi scritti erano dei veri capolavori di sintesi, equilibrio, cultura, ironia e forza graffiante. Era geniale, Francesco giocava con le parole che gli obbedivano senza resistergli mentre parafrasava, inventava, cambiava i nomi con sapiente ironia e diceva delle cose che in realtà erano assai più pesanti delle parole che usava, con grande maestria, per alleggerirle.
E poi un giorno, in silenzio, arrivò la malattia, piano, senza far troppo rumore, senza enfasi.
La malattia è stata nostra compagna per anni e Francesco ci ha invitato ad accettarla, chi era suo amico doveva diventare anche amico della malattia. In un primo tempo era ancora possibile uscire “normalmente” con alcuni accorgimenti, Francesco aveva anche una macchina con i comandi adattati alle sue possibilità e ricordo una bellissima serata in cui, con i colleghi dell’Associazione, andammo a sederci al bar a bere qualcosa insieme. Riuscire a farlo con lui rese tutto più bello. Aveva il potere, quasi magico, di rendere tutto normale, ovvio, persino accettabile. Continuava a scrivere, a portare avanti le sue battaglie, a suonare la chitarra, ad accarezzare i suoi cani, a occuparsi attivamente insieme alla sua splendida compagna della crescita dei suoi ragazzi.
Noi cercavamo di vederlo e lui continuava ad accoglierci con quel suo sorriso speciale, con quel garbo fine ed elegante che lo contraddistingueva sempre.
Non ricordo una sola volta in cui si sia lamentato, mai una parola in negativo, si limitava a raccontare delle sue battaglie con un distacco quasi giornalistico.
Man mano che la malattia andava avanti e si prendeva dei pezzi lui combatteva. Lei correva al galoppo e lui trascorreva mesi per recuperare centimetri ed andare avanti con dignità e una forza infinita.
Nel frattempo i suoi tre ragazzi crescevano sani e forti, ricordo sempre l’orgoglio e l’amore con cui parlava della sua famiglia. Un giorno pubblicò una bellissima foto in cui lui ed i suoi due figli indossavano le loro divise tutti e tre insieme, e c’era una fierezza in quella foto che colpiva al cuore. Il senso dello Stato, nella sua espressione più alta ed ideale e la consapevolezza di chi era riuscito a raggiungere quel bellissimo risultato, di avere dei figli a servizio dell’Istituzione, erano visibili a tutti. E poi c’era la sua ragazzina, di cui andava fierissimo, tanto che quando ne parlava gli brillavano gli occhi di un amore speciale.
Ogni anno un appuntamento fisso era il calendario della “sua” Polizia e lui ci accoglieva in un giocoso intreccio di cani, chitarre, sedia a rotelle, racconti e sorrisi ed il calendario diventava un pretesto per vedersi.
Raramente l’ho visto voltarsi indietro a rimpiangere qualcosa, troppo occupato a vivere intensamente, la cosa più bella era che lui era dove si trovava e in quel luogo viveva con forza, anche se il suo luogo era per mesi un letto di una clinica dove lottava per recuperare i suoi centimetri persi, che però segnavano la differenza nel poter fare qualcosa.
Mai l’ho sentito lamentarsi, mai nemmeno una volta, ma si raccontava con lucidità e con parole asciutte e quando i racconti erano veramente pesanti sembrava stesse parlando di un’altra persona che non era lui e cercava i tuoi occhi per rassicurati e dirti che era tutto a posto.
Mancherai Francesco, a tanti di noi che hanno avuto il privilegio di trovarti nelle proprie vite e anche se non ho potuto salutarti come avrei desiderato, anche se pensare che non ci sei mi fa saltare un battito del cuore, ti ringrazio per tutto quello che ogni giorno, con umiltà e allegria, mi hai insegnato con la tua vita forte, mai scontata, piena di colore e di affetti, di musica e di parole, la faccia al vento e il tuo sorriso che ti precedeva.
E per questo ti lascio andare, corri e vola e grazie per la tua amicizia che continuerà a riscaldarmi il cuore per sempre, come l’esempio di una vita piena e ben vissuta che mi ha lasciato.
Con affetto grande, Valeriuzza (come dicevi tu!)