Signor Capo della polizia,

vorremmo portare alla Sua attenzione la vicenda che coinvolge quattro nostri stimati colleghi,  i quali, nell’ottobre del  2020, hanno subito una condanna in primo grado da parte del Tribunale di Perugia, relativamente al c.d. caso Shalabayeva.

Come noto il deposito delle motivazioni di tale decisione ha sollevato una serie di perplessità tali da determinare partiti politici di diversi schieramenti a presentare due distinte interrogazioni parlamentari ai Ministri dell’Interno e della Giustizia e degli Affari Esteri, nelle quali si chiede di fare piena luce sulla vicenda.

La sentenza di condanna in primo grado ha considerato l’intero operato della Polizia di Stato in questa vicenda come una ipotesi di“palese violazione dei diritti fondamentali della persona umana”.

Al riguardo, siamo fermamente convinti che l’operato dei colleghi in merito a quanto verificatosi in quei giorni del maggio 2013 sia stato dettato solo dal pieno e assoluto rispetto delle regole vigenti partendo da una “red notice” dell’INTERPOL per la cattura di un latitante e finendo con il procedere ai necessari adempimenti di legge relativi all’espulsione della moglie dello stesso, accompagnata dalla figlia minorenne, in possesso di un passaporto giudicato falso dagli specialisti interpellati nel medesimo contesto amministrativo .

Ovviamente, sappiamo bene che ogni sentenza va rispettata. Purtuttavia, rimanendo fiduciosi circa il pronunciamento del giudice di secondo grado, riteniamo debba meglio coniugarsi il sacrosanto rispetto dell’operato della magistratura con la salvaguardia della dignità di quei Funzionari dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza che meritano piena stima per la professionalità da sempre dimostrata e che tanto lustro hanno dato all’Amministrazione stessa.

Quanto accaduto, inoltre, ci ha fatto profondamente riflettere sulle conseguenze che un Funzionario di Polizia può subire in seguito ad una condanna di primo grado relativa a fatti inerenti l’attività d’Ufficio.

Essere rimossi dal proprio incarico e collocati “in disponibilità” in altra sede, come immediata conseguenza di una sentenza di condanna di primo grado, non solo mette a dura prova gli animi dei colleghi, già pesantemente provati dalla decisione dell’Autorità giudiziaria, seppur non definitiva, ma rischia anche di alimentare un clima interno di timore e demotivazione nello svolgimento quotidiano dell’attività lavorativa da parte di ciascun appartenente, funzionario e non.

Vorremmo quindi che si potesse riflettere sulla necessità che il rispetto di una sentenza non definitiva porti ineluttabilmente a tali penalizzanti conseguenze, anticipando, di fatto, una condanna, per giunta in assenza di qualsivoglia misura cautelare. Ci chiediamo poi, anche in considerazione dei lunghi tempi della giustizia italiana, se valga o meno per noi, Funzionari di Polizia, il principio costituzionale della presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva.

Da ultimo desideriamo manifestare la piena vicinanza a tutti i colleghi che vengono coinvolti in vicende giudiziarie con grave danno personale e professionale che blocca la loro legittima progressione in carriera, specie laddove i loro meriti sono unanimemente riconosciuti dalla Società civile, dalle Autorità politiche, anche oltre i confini nazionali.

Certi della Sua giusta vicinanza ai colleghi, confidiamo in una rivalutazione della situazione attuale, auspicando che in attesa della completa definizione del procedimento penale venga restituita agli stessi la dignità professionale e l’onore che si sono guadagnati sul campo con il sacrificio quotidiano di intere vite dedicate al lavoro.

Roma, 5 maggio 2021

Enzo Marco Letizia

LETTERA AL CAPO DELLA POLIZIA