Quella Fiat Uno bianca resterà nella memoria e nella nostra autobiografia nazionale come il terribile simbolo degli efferati misfatti della banda criminale che imperversò tra il 1987 e il 1994 e il cui spietato bilancio conta la morte di 24 persone ed il ferimento di altre 102, nel corso di brutali rapine a mano armata. Il 4 gennaio ricorreva il 27° anniversario dell’eccidio di tre Carabinieri, il capo pattuglia, Otello Stefanini della stazione di Bologna Mazzini e i due membri dell’equipaggio, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, della stazione di Bologna Porta Lame, uccisi la sera del 4 gennaio del 1991 dai fratelli Savi, che stanno scontando tre ergastoli ciascuno. C’è anche una vittima in più, il padre dei Savi che sotto il peso della vergogna si è tolto la vita nel 1998. Uno di loro ha inoltrato domanda di grazia, poi ritirata; un altro ha presentato richiesta di poter usufruire a posteriori del rito abbreviato, che tramuterebbe l’ergastolo in trenta anni, domanda poi respinta; il terzo ha goduto di un permesso speciale per visitare la madre in fin di vita.
Noi siamo come sempre in prima linea nel chiedere che la giustizia non si converta mai in vendetta, come è doveroso che sia in uno stato di diritto, ma in ragione di ciò ci auguriamo che mai a questi mostri che hanno infangato la nostra divisa e disonorato la Polizia e le forze dell’ordine, vengano concessi benefici di legge.
Per loro non può esserci indulgenza; non si può lavare la macchia sulla nostra onorabilità e autorevolezza, la lesione inferta alla fiducia che i cittadini ripongono in noi, che non è stata cancellata nemmeno dal sangue di altri uomini delle forze dell’ordine, quella credibilità che cerchiamo di riconquistarci e mantenere ogni giorno su quelle stesse strade, per tutelare la sicurezza di tutti, salvando vite e proteggendo i più deboli senza distinzione alcuna, come è nostro obbligo e missione.
Anche allora, quando il lavoro dei nostri investigatori permise di individuare i responsabili all’interno delle stesse forze di Polizia bolognesi, abbiamo dimostrato di saper fare pulizia, di non concedere sconti. Per questo comprendiamo lo sconcerto dei famigliari delle vittime alla notizia che Fabio e Roberto Savi sono di nuovo vicini, nello stesso carcere di Bollate, a Milano, con la possibilità di chiedere un colloquio ed incontrarsi, rinsaldando quel vincolo familiare che ha portato tanti lutti.
Quelle vicende sono state oggetto di trasposizioni cinematografiche che hanno messo in luce anche tra il grande pubblico il peso di quel sodalizio nel trasformare quei tre fratelli in un clan familiare criminale, come si sia combinata l’avidità di individui nati da una famiglia modesta in una regione investita da un nuovo benessere, con l’adesione a un credo che oggi si sta riconfermando come un pericolo per la nostra democrazia.
E come la divisa che portavano, così offesa e vilipesa, fosse per loro un ulteriore incentivo a sentirsi invincibili ed impunibili, strumento di intimidazione e paura, quando invece per noi è e sarà sempre orgoglio per una professione e una missione al servizio dei cittadini.
Dobbiamo apprendere le lezioni della storia e non abbassare mai la guardia nemmeno all’interno della nostra famiglia, la Polizia, e della società tutta, perché ideologie del passato non possano mai tornare e originare atti criminali, perché insoddisfazioni e perdita di stabilità economica non concedano alibi a trasgressione, eversione e violenza, perché il nostro lavoro sia motivo di fierezza per noi e per i giovani che vorranno scegliere la nostra strada.

Roma, 5 gennaio 2018

Il Segretario Nazionale
Enzo Marco Letizia