56-2ordine-pubblicoIl diritto di manifestare le proprie opinioni ed il proprio dissenso è, e deve restare, inviolabile. Questa non è solo una volontà costituzionale, ma anche una convinzione intima di quanti sono chiamati, ciascuno nell’ambito della propria competenza, al mantenimento dell’ordine pubblico. I momenti di incontro, di riunione, di manifestazione si moltiplicano in ragione della complessità della società moderna; in particolare ciò avviene nelle Capitali, quali sedi istituzionali di governi, uffici diplomatici ed organismi economici e politici, sempre impegnate ad accogliere il dispiegarsi dei diritti soggettivi e collettivi e spesso coinvolte nella gestione di eventi sportivi anche di rilevanza internazionale. Mantenere un elevato livello di attenzione per l’ordinato svolgimento della vita democratica, pur garantendo la possibilità di esercitare i diritti e le libertà fondamentali riconosciute dalla nostra Carta costituzionale, è un compito attribuito all’Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza e alle Autorità provinciali territorialmente competenti.
Proprio per questo motivo l’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia ha voluto contribuire al confronto, reso più urgente ed arduo dalla crisi economica e sociale che stanno attraversando a vario titolo tutti i Paesi, con un volume che raccoglie studi ed analisi di esperti, per censire le esperienze e proporre metodi di lavoro.
Assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico in tutte quelle situazioni che, per il loro contenuto intrinseco, potrebbero compromettere il regolare svolgimento della vita cittadina e la pacifica convivenza sociale ed al tempo stesso garantire la libera espressione del diritto di critica e di manifestazione in difesa dei propri interessi, richiede – come sottolinea nella sua introduzione il Questore di Roma, Francesco Tagliente – il consolidamento della catena di comando ed una chiara ripartizione di competenze e delle relative responsabilità al fine di assicurare una corretta pianificazione e gestione degli eventi. La ricerca del punto di equilibrio richiede una cooperazione interistituzionale, oggi rappresentata dal Comitato provinciale per l’ordine e sicurezza pubblica e dal cosiddetto Tavolo Tecnico, organismi volti a garantire il coordinamento tra il Ministro dell’Interno, a sua volta coadiuvato dal Comitato Nazionale dell’Ordine e Sicurezza Pubblica, dal Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, passando attraverso il Dipartimento della P.S. A livello territoriale, sono, invece, protagoniste le Autorità Provinciali di Pubblica Sicurezza: il Prefetto, figura di indirizzo e coordinamento politico ed il Questore, con funzioni di carattere tecnico ed operativo. Entrambi attori fondamentali nel complesso sistema volto a garantire la circolarità delle informazioni ed il coordinamento di tutte le realtà, istituzionali o meno, coinvolte nella gestione della sicurezza in occasione di particolari eventi.
Ma l’ordine pubblico non si insegna, ricorda il Questore di Roma; si vive nelle piazze, si acquisisce tramite l’esperienza riflettendo sugli errori e le criticità incontrate, che diventano spunti di approfondimento per l’azione futura. Non esiste un dispositivo unico di gestione dell’ordine pubblico, universalmente valido, ma esistono le buone prassi, frutto di anni di lavoro nella gestione della piazza, dello stadio o del corteo. Occorre coordinamento e competenza: funzionari preparati ed operatori specializzati, quindi, perché l’ordine pubblico non si improvvisa, ma si studia. Il Tavolo Tecnico, è la sede ideale della cooperazione, in cui si percepisce quanto ogni elemento di conoscenza posseduto da tutti gli enti ed i soggetti presenti sia prezioso ai fini di un’adeguata pianificazione operativa: dal numero e dalla tipologia dei manifestanti, agli itinerari ed ai luoghi coinvolti, alla probabile presenza di elementi “turbolenti”, agli obiettivi politici o parapolitici interessati.
Informare e condividere, sono i principi cardine affinché le conoscenze del singolo siano patrimonio comune dell’intero gruppo di lavoro.
Certamente non è facile ottemperare alla necessità di garantire il diritto di manifestare con il diritto alla pacifica convivenza sociale, incontro tra libertà personale, letta in chiave di partecipazione attiva, espressione stessa del sistema democratico e diritto di vivere la propria città in maniera libera ed ordinata, con la consapevolezza che lo strumento della “prescrizione” ed a maggior ragione quello del “divieto”, vanno usati con estrema prudenza e parsimonia al fine di tutelare quel rapporto di collaborazione e di fiducia certamente importante per scongiurare eventuali scontri.
Tutti i contributi al volume concordano sul fatto che il momento del dialogo non deve limitarsi alla fase negoziale del preavviso, ma articolarsi anche in quello della gestione dell’evento, che offre spesso utili occasioni di rapporto tra “i responsabili su strada” e gli organizzatori delle singole manifestazioni, nell’obiettivo comune di concordare eventuali correttivi finalizzati a scongiurare tensioni o criticità.
L’uso della forza è anche in questa sede, come in ogni altro ambito di intervento della polizia, da considerarsi quale extrema ratio, dovendo essere preliminarmente esperiti strumenti di intervento per così dire successivi, quali ad esempio l’istituto dell’arresto differito (come avviene nella disciplina in materia di violenze allo Stadio), laddove ovviamente la natura della minaccia per l’ordine pubblico non renda indispensabile l’immediata repressione del comportamento illecito.
Ma, come ricorda il Prof. Carrer nella sua analisi, «il protest policing, cioè il controllo della protesta, è uno dei compiti più delicati: non sono in gioco “solo” le libertà personali, ma anche i diritti di partecipazione politica dei cittadini e perciò l’essenza stessa del sistema democratico. […] Allo stesso tempo è un elemento chiave per lo sviluppo e l’autodefinizione della polizia come istituzione e come professione».
Tale ricerca, che si colloca anche sul piano identitario del ruolo delle forze dell’ordine, costituisce attualmente un aspetto di rilevanza strategica, proprio perché in questi anni si è assistito ad una progressiva trasformazione della protesta.
In molti contributi al volume, infatti, si denuncia una nuova connotazione di quei movimenti antagonistici che danno vita o comunque prendono parte alle manifestazioni: “Attualmente possiamo osservare che le manifestazioni tradizionali, ritualizzate, sono infestate da due tipi di manifestanti: alcuni attori molto politicizzati che seguono uno schema ben chiaro e hanno l’obiettivo di far degenerare le manifestazioni stesse. […] Nell’ambito delle manifestazioni tradizionali, si registra, anche la presenza di elementi “incontrollati”, che non sono motivati da un disegno politico ma da un desiderio di appropriazione, di recupero e di saccheggio in quanto rifiutano completamente la società e ne sono completamente emarginati. Al contrario, quelli politicizzati sono ben all’interno del sistema”.
Anche in considerazione delle tecniche utilizzate – dalla mediazione e dalla collaborazione con gli organizzatori, alla prevenzione per mezzo dell’intelligence, all’impiego delle tecnologie che permettono l’identificazione di parte dei responsabili degli scontri – chi cerca visibilità trova nello scontro fisico la sola occasione in cui può tenere in scacco le Forze di polizia al prezzo di una ipotetica ed innocua riprovazione futura (al riguardo le statistiche del Dip.to dell’Amministrazione penitenziaria registrano che i tempi medi di carcerazione per reati di ordine pubblico sono di soli tre giorni). In questa situazione è stato giocoforza da parte delle polizie di tutto il mondo rivedere costantemente le tattiche d’impiego e rivisitare l’armamento e l’equipaggiamento del proprio personale.
Le esperienze straniere in materia di mantenimento dell’ordine pubblico sono fortemente caratterizzate dal ricorso a corpi particolarmente addestrati: molti Paesi a sistema democratico, certamente compiuto, garantiscono la gestione dell’ordine pubblico con strumenti formalmente diversi, segnati dall’impiego o meno di forze a status militare.
In Francia, ad esempio, come segnala nel suo contributo Patrice Vaiente, le risorse impiegate sul fronte dell’ordine pubblico sono le CRS, Compagnies Républicaines de Sécurité, create nel 1944 e riformate successivamente a più riprese, come risultato di una politica tendente a togliere all’esercito le grandi operazioni di ordine pubblico che questo assicurava fino all’inizio del ventesimo secolo. Si tratta di reparti della Polizia Nazionale, posti sotto l’autorità del ministro dell’Interno e impiegati su tutto il territorio.
Intervengono soli o congiuntamente ad altre forze di polizia o alla gendarmeria e possono essere impiegate solo su ordine del ministro dell’Interno o dei Prefetti. Insieme alla CRS operano gli Escadrons de Gendarmerie Mobile, unità della gendarmeria mobile, a statuto militare, poste sotto l’autorità del ministro dell’Interno. Sono impiegate su tutto il territorio nazionale ed intervengono sole o congiuntamente ad altre forze di polizia. Secondo la Polizia francese si tratta di un tipo di organizzazione che presenta indubbi vantaggi sul versante dell’adattabilità. Una sola organizzazione per tutte le missioni: ordine pubblico, violenze urbane, messa in sicurezza e per tutti i tipi di incidenti.
Il sistema pubblico della sicurezza in Spagna vede interagire un modello centralizzato simile a quello francese ed un modello decentralizzato di natura federale simile a quello tedesco, con la particolarità di avere una polizia locale con un significativo peso specifico nel sistema. Cioè, tre livelli amministrativi con la propria polizia e una distribuzione di ruoli e funzioni non sempre rese chiare dalla stessa legge, che fanno comprendere le difficoltà di governare un sistema complesso dal punto di vista territoriale.
Ad esempio in Catalogna, gran parte delle competenze in materia di ordine pubblico vengono attribuite al Corpo dei Mossos d’Esquadra che segue una doppia strada organizzativa all’interno della propria struttura per la fornitura di servizi di polizia: i servizi territoriali ed i servizi centrali. Come si rileva nel contributo offerto da Marc Pons e Manuel Hermida, una delle caratteristiche del modello di pianificazione delle risorse e delle operazione degli interventi di ordine pubblico in Spagna e in particolare in Catalogna è l’interesse attribuito alla programmazione temporale: gli interventi di negoziazione, le avvertenze, le intimidazioni/deterrenze, la gestione della manifestazione e la dispersione dei gruppi, l’evacuazione della zona rendendo sicura l’area fino al ripristino della normalità, grazie anche all’aggiornamento costante delle informazioni.
L’organizzazione del mantenimento dell’ordine in Inghilterra rappresenta un interessante caso di studio: si tratta di una miscela di decentralizzazione e di centralizzazione. Le forze di polizia in Inghilterra sono 39, di cui la più importante è quella della grande Londra (Metropolitan Police Service). A queste si aggiungono le 8 polizie scozzesi, le 4 gallesi e la polizia nord-irlandese. Attualmente, queste forze di polizia sono sotto una duplice tutela; quella della propria autorità locale e quella dell’Home Office (Ministero dell’Interno). Ciò può sembrare complicato, ma nella pratica quotidiana il sistema funziona bene, perché in Inghilterra esiste il principio del mutual aid (aiuto reciproco) e soprattutto un controllo di fatto da parte dello Home Office e un coordinamento attraverso un importante organismo, l’ACPO (Association of Chief Police Officers), l’associazione dei comandanti della polizie di tutte le forze di polizia britanniche.
Secondo l’analisi presentata da Salomon, le mutazioni intervenute nel contesto e nella partecipazione agli eventi pubblici hanno messo in evidenza alcune aree di criticità riscontrabili peraltro in tutti i Paesi occidentali: l’estremizzazione delle azioni dei manifestanti – si tratti di manifestazioni politiche o legate a eventi sportivi – alla quale si contrappone una maggiore vulnerabilità delle forze dell’ordine, poco aggiornate e prive di quel know how che una volta maturava, anche, durante la leva non più obbligatoria. Ed anche la presenza diffusa di gruppi che impiegano tecniche di guerriglia urbana. Oltre alla difficoltà di “confinare” le ali estreme in zone isolate a causa della morfologia urbana sempre più diffusa e atomizzata sul territorio.
La tradizione britannica – che risponde al doppio imperativo: rispettare le norme democratiche e fare uso solo della forza necessaria cui si aggiunge un’ulteriore limitazione: il non uso delle armi da fuoco come regola generale – ha dato particolare enfasi alle attività di intelligence. In quest’ottica, numerose strutture nazionali sono state create nel corso degli ultimi anni per lottare contro differenti forme di estremismo, che originariamente erano soprattutto l’hooliganismo nel calcio. Successivamente il campo d’intervento si è esteso all’estremismo ecologico (Animal Rights), alla estrema destra, all’estrema sinistra e a tutte le forme di protesta radicale. Bisogna notare anche che esiste un National Intelligence Model (modello nazionale d’informazione). Questo modello, o piuttosto questo piano, concerne tutte le attività di polizia in Inghilterra per le quali sia necessario raccogliere e analizzare delle informazioni. Ciò si applica alla piccola delinquenza, alla grande criminalità, così come al terrorismo o all’ordine pubblico. Oggi l’organo centrale è il National Coordinator Domestic Extremism, alle cui dipendenze si trova la National Public Order Intelligence Unit il cui ruolo é quello di raccogliere le informazioni sull’estremismo detto “domestico”. Ciò significa che a livello locale ogni forza di polizia regionale possiede un Forward Intelligence Teams (FIT), incaricato di numerose funzioni. Ma i fronti sui quali la polizia inglese possiede una riconosciuta leadership sono quelli relativi ai sistemi interni ed esterni di controllo e vigilanza democratica sull’operato delle forze dell’ordine e quelli che riguardano gli equipaggiamenti, contraddistinti dall’inserimento di elementi di innovazione tecnologica sofisticati e funzionali. Secondo Jean-Claude Salomon il modello americano è atipico da diversi punti di vista. Anzitutto, non esiste una politica nazionale uniforme in materia di dottrina, di formazione, di equipaggiamento e di centralizzazione delle forze dell’ordine. Il mantenimento dell’ordine pubblico è soprattutto una questione che riguarda i militari e le forze di polizia di un certo livello secondo la nozione di sussidiarietà e di mutual aid determinata anche dall’estrema decentralizzazione delle forze di polizia negli Stati Uniti. Un’altra particolarità è il ricorso secondo le circostanze per il ristabilimento dell’ordine alla National Guard, la forza militare agli ordini dei governatori di ciascun stato, che rappresenta di fatto la sola forza strutturata per il mantenimento dell’ordine. Ma il caso americano è significativo anche perché gli Usa sono stati il teatro di eventi che hanno segnato davvero svolte epocali per quanti attiene ai fenomeni di antagonismo nell’era della globalizzazione. A cominciare dai fatti di Seattle, nel corso dei quali fecero irruzione anche i sistemi di comunicazione e aggregazione del dissenso legati all’informatica. Ma anche per via della presenza, non solo virtuale, di un nuovo nemico, il terrorismo, che ha reso più complesso l’intero sistema di gestione delle emergenze. Il numero e l’estrema diversità delle forze di sicurezza si traduce ovviamente nella diversità dei dispositivi di ordine pubblico o nella loro assenza. Proprio per questo l’esperienza americana è significativa in quanto si traduce in articolazioni, strutture e forme di prevenzione e reazione molto diversificate. Nelle varie città esse assumono molteplici denominazioni, Rapid Response Team, Tango Team o Rapid Tactical Response, o anche squadre SWAT, che si richiamano tutte ad unità d’intervento para-militari piuttosto che di ordine pubblico, permanenti, semi-permanenti od organizzate per l’occasione. Ma è ormai accertato che questi interventi possiedono un forte potere di deterrenza. Un’altra peculiarità americana è quella delle infrastrutture e delle attrezzature. Se per le prime possiamo parlare della presenza di un importante gap tecnologico, per quanto riguarda le armi è certamente criticabile il loro uso massivo, che corrisponde – d’altra parte – alla loro preoccupante diffusione tra i cittadini. Solo ultimamente si sta incrementando l’utilizzo di armi non letali, che sembrano rispondere efficacemente a esigenze di dissuasione, soprattutto per quanto riguarda la criminalità abituale.
Secondo Pierre Allaire, il caso del Quebec rappresenta un’eccellenza perché esalta il ruolo di strutture di emergenza ad hoc costituite in occasione di particolari eventi che potrebbero compromettere l’ordine pubblico. Si tratta di unità speciali mobili dinamiche e preparate, passate alla leggenda per il loro abbigliamento caratteristico, abiti da sportivi e cappelli da baseball, pronti a mutarsi in divise e caschi di emergenza. Negli anni le unità sono state sottoposte ad una formazione permanente sempre più specialistica e ad una preparazione alla negoziazione molto sofisticata. Vertici di interesse mondiale hanno sollecitato le autorità a mettere a punto una sorta di format per gli interventi delle unità speciali con strategie di polizia preventive e repressive riguardanti la massima sicurezza perimetrale, la definizione concordata di un sito per i manifestanti, la definizione della comunicazione, la predisposizione e applicazione dei regolamenti municipali relativi alla sicurezza, l’utilizzo di piccole squadre per gli interventi, l’aumento delle pattuglie sulle strade principali e l’incremento del controllo dell’accesso da parte delle dogane canadesi. A queste misure si accompagnano l’uso di forze mobili congiunte dei diversi Corpi di polizia per il controllo della folla e lo sviluppo di nuove tattiche operative per contrastare le azioni di disobbedienza civile; la creazione di gruppi congiunti per arresti in flagranza di reato; l’uso di armi ad impatto non letale da parte di squadre specializzate e di camion-idranti insieme all’impiego di elicotteri.
Le esperienze straniere riportate nel volume confermano che una strategia, se non addirittura un modello di gestione dell’ordine pubblico, è aspirazione di tutti i Paesi, ancora lontani, però, da una effettiva concretezza. E soprattutto sembra ancora remoto l’obiettivo di identificare un approccio anche culturale che collochi il governo delle crisi e delle emergenze di ordine pubblico nel contesto più generale della sicurezza. Un obiettivo difficile, in presenza di condizioni sociali e economiche che acuiscono il dissenso e possono produrre svolte violente nella manifestazione sia pur causate dal malessere generalizzato, ma proprio per questo ancora più necessario, come sottolineano i contributi degli esperti italiani, particolarmente attenti a questo aspetto.
Secondo Luigi Soriano la nozione di ordine pubblico materiale riguarda il buon assetto o il regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza. Storicamente è possibile identificare due diverse concezioni della polizia: la prima, tipica della tradizione anglosassone (Community policing), è vista come creata “dal basso”, dalla società civile, rispondendo alle richieste di protezione e di sicurezza provenienti dai cittadini; mentre la seconda, tipica della tradizione napoleonica (King’s police), concepita come corpo creato “dall’alto”, dal governo, come strumento per imporre il rispetto delle sue leggi anche a quelle classi sociali e organizzazioni politiche che non si riconoscono in esso. L’evoluzione storica dimostra come in tutte le democrazie avanzate si sia affermato nella gestione dell’ordine pubblico un terzo modello, risultato dell’ibridazione dei due, che anche in Italia si concretizza in uno stile nel controllo della protesta di tipo negoziale, per cui il diritto di manifestare pacificamente è considerato prioritario ed ampiamente garantito e si evita il più possibile l’utilizzo di mezzi coercitivi.
Nel corso degli anni, ovviamente, le strategie di controllo dell’ordine pubblico e le tecniche operative si sono trasformate profondamente, distinguendosi uno stile basato sull’uso della forza ed uno stile negoziato: nel primo viene data bassa priorità al diritto di manifestazione, le forme di protesta più innovative sono poco tollerate, la comunicazione tra polizia e manifestanti è ridotta all’essenziale, vi è un uso frequente di mezzi coercitivi; nel secondo, viceversa, il diritto di manifestare pacificamente è considerato prioritario, forme anche dirompenti di protesta vengono tollerate, la comunicazione tra manifestanti e polizia viene considerata come fondamentale per una evoluzione pacifica della protesta e si evita il più possibile l’utilizzazione dei mezzi coercitivi. Si tratta del naturale esito di un processo che ha visto andare di pari passo il consolidamento di forme partecipative più mature, la riorganizzazione della polizia e, innegabilmente, una sua profonda democratizzazione. Prevalgono le strategie persuasive con l’utilizzazione di varie forme di negoziato in vista del fine comune di garantire un pacifico svolgimento delle manifestazioni. Minori cambiamenti si sono avuti per quanto riguarda le strategie informative, stimolate sia dalle nuove opportunità tecnologiche ed informatiche, sia da una spinta a compensare il minor uso di interventi coercitivi durante le manifestazioni con le denunce a posteriori alla magistratura.
L’ordine pubblico, comunque, assume insopprimibili valenze politiche ed ogni attore sociale, politico o istituzionale tende ad attribuirgli significati diversi. Il modello della polizia comunitaria, se aumenta la complessità delle sfide organizzative che la polizia deve sostenere, le offre anche l’occasione straordinaria di proporsi e affermarsi come legittima garante del pacifico svolgimento delle manifestazioni e del controllo dei violenti. La scelta dell’ulteriore autonomia e professionalizzazione è la migliore garanzia per la polizia di incontrare l’indispensabile consenso della popolazione anche in un contesto in cui i movimenti sociali divengono realtà diffuse e il mutamento sociale, caratterizzato da processi di globalizzazione, costituisce una caratteristica normale della nostra quotidianità.
Giustamente, sottolinea Carlo De Stefano, il diritto di manifestare è un diritto inalienabile e dalla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica dipendono l’ordinato svolgimento della vita democratica del Paese e la garanzia per ogni cittadino dell’esercizio dei diritti e del godimento delle libertà fondamentali riconosciute dal nostro ordinamento. Ma proprio i processi di mondializzazione, anche dei conflitti, impongono un aggiornamento dell’approccio e del sostegno giurisprudenziale alle scelte politiche che riguardano la sicurezza e il ruolo dei suoi operatori e custodi.
Com’è noto, la Costituzione italiana non fa mai riferimento al concetto di “ordine pubblico”, ma solo a quello di sicurezza, mentre la Corte Costituzionale ne ha fatto più volte menzione, definendolo come l’insieme dei beni giuridici fondamentali sui quali, insieme con gli interessi pubblici primari e le leggi ordinarie, si regge l’ordinata e civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale. In essi rientrano l’integrità fisica e psichica delle persone, la sicurezza e il rispetto di ogni altro bene giuridico di fondamentale importanza per l’esistenza dell’ordinamento. Ma perché una qualsiasi manifestazione pubblica si svolga regolarmente e garantisca pienamente il diritto di chi vuole manifestare, ma anche di chi non vuole manifestare, nonché il diritto dei cittadini acché la loro libera attività di azione e di circolazione non venga sacrificata, è necessario che i responsabili della tutela della sicurezza pubblica siano messi a conoscenza e si informino di tutte le circostanze utili per predisporre gli adeguati servizi di polizia, nell’ottica della prevenzione e per prepararsi ad eventuali azioni di contrasto.
A collocare con tempestività il tema dell’ordine pubblico nel quadro della situazione attuale, particolarmente cruciale, in presenza di una crisi che è economica ma anche di valori, pensa Giuseppe Tiani, rifacendosi a due occasioni intorno alle quali si è acceso un dibattito aspro e non scevro da pregiudizi: il decennale del G8 di Genova e le contestazioni alla Tav in Val di Susa. Si tratta di avvenimenti che richiamano la necessità di esperire “un equilibrio fra il disordine sopportabile e l’ordine indispensabile”. Un equilibrio sempre difficile da realizzare, anche nei momenti più tranquilli delle società più democratiche e scevre da problemi. Un equilibrio particolarmente difficile da tenere, specie nei periodi di crisi, quando le tensioni e il disagio sociale si acuiscono, le presenze e le manifestazioni aumentano e i problemi per i poliziotti si moltiplicano. E Tiani richiama la dichiarazione del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Prefetto Antonio Manganelli – resa al termine della lunga giornata del 27 giugno in Val di Susa, che rappresenta un’enunciazione di principio valida sempre – «le donne e gli uomini delle forze di polizia sono chiamati a far rispettare disposizioni legittime e lo fanno, a prezzo di enormi sacrifici, non “contro” qualcuno, ma per garantire i diritti di libertà di tutti». Come ricorda nel suo contributo F. Carrer, negli ultimi anni la percezione di un processo di democratizzazione delle forze dell’ordine, di una maggiore vicinanza ai cittadini «si è andato modificando, spesso sostituito da manifestazioni collegate a rivendicazioni di principio sui massimi sistemi ad opera di minoranze in cerca di visibilità e di nuovi adepti, non raramente caratterizzate dalla presenza di soggetti violenti e professionalizzati, quando non da esponenti di organizzazioni criminali nazionali e transnazionali. Si può valutare che alcune migliaia di persone tenga in ostaggio con le loro manifestazioni violente e la loro ideologia l’intero paese, e, considerando la loro mobilità, l’intero mondo “civile”. Non è un caso che non raramente si tratti delle stesse persone che cambiano “motivazioni” e casacca, dalla possibile installazione di un termovalorizzatore al derby calcistico cittadino».
In modo acuto ricorda De Stefano che non è più possibile «trascurare i segnali di disagio economico e sociale di alcune categorie di cittadini, i problemi occupazionali legati alla chiusura o alla delocalizzazione delle fabbriche, i problemi del precariato e della disoccupazione giovanile, i problemi legati all’immigrazione e agli stranieri presenti sul territorio nazionale. Tali segnali vengono spesso valutati in maniera non esaustiva perché considerati fisiologici alle contingenze del Paese. Ma la storia, e l’attualità, ci insegnano che lo scoccare di una sola scintilla fa esplodere tutto il disagio accumulato silenziosamente nel tempo».
Si pongono, dunque, anche problemi di strategia di intervento e di dotazione del personale. I più recenti avvenimenti nel nostro Paese ci dimostrano che non è più possibile affidarsi all’efficacia dei lacrimogeni, sparati con i lanciagranate da 40 mm, che si sono rilevati inefficienti e che vengono rilanciati come boomerang dai professionisti della guerriglia, tanto che proprio le Forze dell’ordine finiscono per subirne gli effetti. È poi necessario dotare le nostre unità di strumenti di difesa dal lancio di petardi e di altri prodotti progettati per esplodere a terra, che, nella colpevole tolleranza di tutti i soggetti interessati, continuano ad essere immessi sul mercato. Di fronte all’onda d’urto dei manifestanti e alle armi generalmente utilizzate, gli strumenti di difesa, a cominciare dagli sfollagente di gomma, si rivelano inadatti a sortire effetti deterrenti e inadeguati a proteggere il personale dai colpi di bastone o di spranga. La cosiddetta “carica di alleggerimento”, da sola, non è più sufficiente a disperdere i manifestanti in occasione di determinati comportamenti violenti. Sarebbero opportuni scudi realizzati con materiali più moderni e leggeri, ma al tempo stesso più resistenti, quali il Dyneema ed il Kevlar (lo stesso materiale dei caschi da motociclista); moderni erogatori individuali di Oleoresin Capsicum a getto balistico, che consentono di rendere inoffensiva una o più persone contemporaneamente, anche da 5-7 metri di distanza (peraltro di libera vendita, nonostante le perplessità a suo tempo esposte anche dalla nostra Associazione), di peso e costo contenuto, che potrebbero consentire di fronteggiare molte situazioni di ordine pubblico limitando il contatto fisico tra polizia e dimostranti; strumenti di difesa passiva con uniformi ed accessori paracolpi adeguatamente strutturati per la protezione degli operatori e per la sicurezza dei servizi; fondine interne per la custodia della pistola, che sarebbero un accorgimento che potrebbe garantire maggiore sicurezza all’operatore e preservarlo da tentativi di sottrazione dell’arma; fucili “marcatori”, armi ad aria compressa che sparano sfere di plastica contenenti vernice colorata, con cui è possibile individuare ed identificare, anche dopo che è cessata l’emergenza, i soggetti più facinorosi e pericolosi. Andrebbe studiato l’impiego di proiettili di gomma, che, se di tipo adeguato e usati da personale rigorosamente addestrato, sono innocui, ma di grande efficacia contro i violenti (da diversi anni sono del resto in commercio munizioni calibro 12 con proiettili in gomma “a soffietto”, che al momento dell’impatto si allargano fino a raggiungere un diametro di diversi centimetri); microtelecamere della grandezza di un auricolare per documentare interventi di ordine pubblico o altre azioni particolarmente sensibili ed a rischio, al fine sia di evitare riprese parziali o mistificatorie sia di predisporre prove inconfutabili per l’Autorità Giudiziaria. Vanno infine sviluppate tecnologie che, nelle fasi più concitate, siano in grado di garantire continuità e qualità delle comunicazioni radio, oggi affidate a vecchie radio portatili, ingombranti, pesanti e di ostacolo alla mobilità di chi deve intervenire nei momenti di scontro. Il Governo non può più procrastinare l’investimento in tema di ordine pubblico, i profondi malessere stanno saturando la società italiana e basta poco per farli esplodere in tutta la loro virulenza. L’ordine pubblico va messo in sicurezza prevedendo ogni particolare, perché ciò che è imprevedibile è la scintilla, non il contesto in cui maturano le tensioni.
E qui entra prepotentemente in campo il ruolo dell’informazione, nella quale prendono il sopravvento sensazionalismo, scandalismo, ideologismo e pregiudizio. Come ricorda Tiani, anche a proposito di una tragedia, di un dato fenomeno, le verità appaiono di parte e seguono le esigenze delle parti politiche, irridendo spesso la “verità” a cui il cittadino ha diritto. È una carenza di informazioni a tutto campo, tanto più presente quanto più la nostra epoca sembra fornirci la possibilità di essere sempre informati. Una carenza che si trova fra i cittadini che vogliono essere sempre informati, ed anche all’interno della nostra organizzazione, dove il flusso delle giuste informazioni quelle a cui legittimamente si dovrebbe accedere, non di certo quelle riservate, rappresenta uno degli aspetti più frustranti.
Più competenza dunque, più risorse, più tecnologie, più formazione, più informazione, più trasparenza. Ma anche una maggiore attenzione ai diritti e alle garanzie sia dei cittadini che di coloro che ne sono custodi.
In questo senso va letto il contributo di un medico che si è dedicato alle problematiche della correlazione tra lavoro e stress e in particolare all’impatto sulla salute di particolari condizioni legate ai lavoratori della pubblica sicurezza, il dottor Sergio Garbarino, che richiama all’esigenza di promuovere una migliore organizzazione degli eventi di ordine pubblico ordinario volta ad incrementare il coinvolgimento del personale impiegato, favorendo il grado di motivazione e responsabilizzazione, nonché all’opportunità di migliorare l’organizzazione degli orari e delle pause di lavoro in relazione al carico di lavoro. E alla necessità di favorire un miglior coordinamento delle risorse umane e dei mezzi durante lo svolgimento dell’attività di ordine pubblico ordinario (gestione delle operazioni in concerto con i funzionari delle Questure).
Questa raccolta di esperienze e opinioni vuole concorrere a un dibattito necessario a dare certezze, a rafforzare conoscenze, convinzioni e competenze, a dare vigore e conferme a una cultura della sicurezza come armoniosa convivenza, cittadinanza pacifica, riconoscimento delle differenze, condivisi traguardi di equità, solidarietà ritrovata con l’obiettivo finale di consentire ai cittadini di liberarsi dalle paure e vincere insieme le proprie fragilità. Carrer, nel citare Monjardet, secondo il quale l’ordine pubblico, almeno secondo l’ottica delle CRS francesi, può essere definito come «una tecnica inquadrata da una dottrina», che consiste nel rispetto del mandato democratico ricorda che «il mantenimento dell’ordine più che una funzione di polizia, è un’idea della politica. Se esiste una finalità della polizia, questa è l’ordine. Se la polizia è un sapere e un’intelligenza dello Stato, è in funzione dell’ordine: il segreto dello Stato è quello di mantenere l’ordine».
E, ricorda proprio Carrer, è allo stesso tempo un «elemento chiave per lo sviluppo e l’autodefinizione della polizia come istituzione e come professione». Per questo chi pensasse in termini di ordine pubblico come pura e semplice attività meccanica di repressione della violenza non solo svuoterebbe di senso l’idea di sicurezza, ma alimenterebbe distorsioni nella percezione del ruolo e delle funzioni delle forze di polizia e della loro attività di difesa delle istituzioni democratiche oltre che degli standard di vita e di benessere dei cittadini.
Sì, perché il controllo della protesta, come sottolineato da Della Porta e Reiter «è uno dei compiti più delicati: non sono in gioco “solo” le libertà personali, ma anche i diritti di partecipazione politica dei cittadini e perciò l’essenza stessa del sistema democratico». Ma è l’essenza stessa del nostro Stato e della nostra unità nazionale.
Per questo i vari contributi raccomandano un riposizionamento della politica: la quasi totalità delle manifestazioni sono effettuate direttamente o indirettamente per conto della politica nelle sue diverse sfaccettature. In questo quadro, quindi, sarebbe auspicabile una riflessione da parte della politica che portasse a ridurre gli “eventi-spettacolo” tanto inutili sul piano sostanziale quanto ricercati dai politici stessi e dagli “antagonisti” per i rispettivi interessi mediatici. Incontestabile è infine la sua conclusione: «L’organizzazione e la partecipazione a qualsiasi manifestazione così come la sua gestione rappresentano una fra le tante cartine di tornasole per valutare la civiltà di un paese, dei suoi abitanti e della sua polizia. Il diritto a manifestare le proprie idee ed opinioni, a partire dal proprio dissenso, è e deve restare inviolabile e indiscutibile. Tutti devono però essere consapevoli dei rischi che queste manifestazioni comportano e saper fare un passo indietro quando ciò possa essere opportuno per non contribuire a trasformare – sia pure indirettamente anche se non è mai chiaro fino a quale punto – un proprio diritto in un incubo altrui ed in un costo spropositato per la comunità».
L’essenza dell’attività di una polizia civile e moderna è di attuare concretamente quello che un filosofo del XVIII secolo intuì: «non sono d’accordo con quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo». Sono molti i poliziotti che hanno sacrificato la propria vita per difendere questo inalienabile diritto.

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