9-47-image_2«Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto». Così l’agente sopravvissuto, Antonino Vullo, descrive l’esplosione nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino insieme a cinque poliziotti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Lo scenario descritto dagli agenti della  Squadra Mobile accorsi sul luogo raccontava di «decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati».
Fino ad oggi a quei caduti si erano aggiunte altre vittime tra le forze dell’ordine, sia pure solo morali, ma che hanno sofferto per le accuse infamanti rivolte contro di loro da alcuni collaboratori di giustizia e in merito alle quali finalmente è stata ristabilita la verità dei fatti.
Si tratta di tre funzionari di polizia – Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera – incolpati di avere depistato gli investigatori, esercitando pressioni su tre falsi pentiti per indurli a fornire una loro versione  sulla fase esecutiva della strage.
Ieri, finalmente, il Gip di Caltanissetta, Alessandra Giunta, ha archiviato l’indagine, così come era stato richiesto dalla stessa Procura.
I colleghi Bo, Ricciardi e La Barbera erano investigatori in forza al cosiddetto pool Falcone-Borsellino, guidato da Arnaldo La Barbera, che svolse le indagini sulle stragi mafiose del ’92.  Ma sarebbero stati loro  ad aver dato l’imbeccata a Vincenzo Scarantino, il piccolo malavitoso della Guadagna: era stato proprio Scarantino, insieme ad un altro pentito, Francesco Andriotta, a mettere sul banco degli imputati i tre poliziotti che, a loro dire,  avrebbero esercitato pressioni sui collaboratori di giustizia, perché denunciassero il coinvolgimento nell’esecuzione della strage del clan mafioso della Guadagna.
A seguito di quelle rivelazioni, poi ritrattate, vennero condannate ingiustamente per l’eccidio sette persone. E solo grazie alle dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza furono riaperte le indagini e individuati i veri responsabili.
Sono passati anni, ci sono voluti vari procedimenti giudiziari: è in corso il processo Borsellino quater, ma oggi finalmente finisce il calvario dei tre investigatori con un’archiviazione motivata dall’accertata inaffidabilità dei loro accusatori, protagonisti del reiterarsi di numerose confessioni e successive ritrattazioni.  Per il magistrato,  le loro “verità” il cui “vero spessore rimane buio”, non potrebbero reggere al vaglio del dibattimento. Si tratta di “dichiarazioni non spontanee”, motivate da un interesse “ad addossare su altri la responsabilità del depistaggio investigativo,  di “rivelazioni non genuine di personaggi sfuggenti e ambigui”, “caratterizzate da contraddizioni prive della pur minima convergenza”.
Non si può che essere compiaciuti che giustizia sia stata fatta, che sia stata restituita l’onorabilità a tre funzionari incaricati di tutelare la legalità, di difendere le istituzioni e la loro autorevolezza e di contribuire a mantenere saldo il patto di fiducia che lega i cittadini e lo Stato. Non è la prima volta che l’integrità di tutori dell’ordine e della sicurezza, così come di personaggi in vista, viene macchiata dal sospetto e dalle calunnie di pentiti determinati a suscitare polveroni per nascondere responsabilità, di accusatori a comando su mandato di oscuri burattinai, di manovratori di macchine del fango motivate a colpire figure ineccepibili e fino ad allora insospettabili, combinando la loro demolizione morale con la lesione dello stato di diritto. Altri eccellenti colleghi ne hanno sfortunatamente già fatto le spese.
Per questo la decisione che riabilita i tre investigatori,  restituendoli alla collettività, alla Polizia di Stato ed al loro impegno professionale, ha un grande valore. Non solo perché conferma la credibilità del nostro sistema giudiziario e rinsalda affidabilità e fiducia, ma anche perché il lavoro di investigatori ed inquirenti dimostra ancora una volta che il dialogo con i mafiosi disposti a collaborare con la giustizia – sostenuto dall’intuizione di Falcone e Borsellino – si rivela efficace e lungimirante. Benché ciò possa certamente presentare dei rischi, le nostre istituzioni, il nostro apparato giudiziario, le nostre forze dell’ordine sono sane e in grado di garantire,   sia pure con i ritardi e le difficoltà aggravate dalla carenza di organici e mezzi, tutela degli innocenti, condanna dei colpevoli, successi nella sfida della criminalità, ripristino della legalità.

Lorena LA SPINA

EDITORIALE 1 GENNAIO 2016: STRAGE VIA D’AMELIO