276-naccaratoALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 187, pur contenendo alcune norme condivisibili e più volte auspicate dall’opposizione, ha il grande limite di affrontare la questione della sicurezza con la logica emergenziale alla quale il Governo ha ormai abituato il Parlamento e non affronta i due temi più importanti che aspettano risposte da anni: la necessità di aumentare le risorse per la sicurezza per riconoscere sul serio la specificità delle forze dell’ordine; una riforma del comparto sicurezza per attuare pienamente la legge n. 121 del 1981, legge fondamentale che ha prodotto risultati molto importante, e gli articoli 117 e 118 della Costituzione che hanno delineato un sistema integrato di sicurezza che coinvolge diversi soggetti istituzionali con funzioni differenziate.
In questo mio intervento sul decreto in esame proverò ad indicarne i limiti sui quali abbiamo presentato alcuni emendamenti, le lacune che andrebbero colmate con apposite leggi ordinarie e gli errori che, a nostro parere, andrebbero cancellati.
In due anni e mezzo il Governo ha presentato tre decreti-legge ed un disegno di legge in materia di sicurezza. Il numero così elevato di interventi sulla stessa materia dimostra che è necessario predisporre un provvedimento legislativo organico se si vuole superare la gestione emergenziale dei problemi. Il Governo finora ha rincorso le questioni con intenti il più delle volte propagandistici. Basti ricordare due esempi: le ronde e l’utilizzo dei militari per il controllo del territorio. Nel primo caso, come dimostrato dallo scarsissimo numero di ronde attive, si è trattato di un fallimento clamoroso; nel secondo, a distanza di due anni e mezzo, si può facilmente constatare che sarebbe stata molto più efficace, meno costosa per le casse dello Stato e più utile sul piano della professionalità e della capacità operative l’assunzione di nuovo personale. Non si può andare avanti con proclami e slogan soltanto per lucrare qualche voto approfittando della paura dei cittadini.
Nel corso del tempo si sono create strutture con funzioni e compiti che spesso si sovrappongono, determinando confusione e sprechi di risorse. La riorganizzazione ed il riordino del sistema di Pag. 20prevenzione e repressione del crimine devono partire dal riconoscimento che forze di polizia e Forze armate devono svolgere funzioni diverse e non sovrapponibili né intercambiabili. In questo quadro è possibile razionalizzare l’impiego di risorse economiche, umane e strumentali ed eliminare gli sprechi e doppioni.
Il Governo deve prendere atto che non basta procedere con i pacchetti sicurezza attuati mediante decreto-legge e che proseguendo così non si risolvono i problemi. L’emergenza che il Governo prova ad affrontare con i continui decreti è determinata anche e soprattutto dai tagli di risorse che lo stesso Governo ha inflitto alle forze dell’ordine e al comparto sicurezza, che ha invece bisogno di maggiori strumenti e di investimenti per aumentare la capacità operativa, l’efficienza e la professionalità.
A causa dei tagli e del mancato rispetto delle promesse e degli impegni assunti dal Governo tutti i sindacati di polizia, delusi dall’incontro con il Ministro dell’interno di venerdì scorso, 26 novembre, hanno proclamato lo stato di mobilitazione per ottenere il pagamento degli arretrati, il riconoscimento economico e giuridico delle promozioni e degli adeguamenti retributivi per il triennio 2011-2013 e l’istituzione di forme di previdenza complementare.
Questa è la realtà, che è ben distante dai proclami che sentiamo fare spesso dal Governo e dai rappresentanti della maggioranza. L’aumento della sicurezza si ottiene se si riconosce con fatti concreti la specificità e se si migliorano le condizioni di lavoro della forze dell’ordine. Se non si risolvono questi aspetti, l’emergenza diventerà la consuetudine e non si affronteranno in maniera seria le questioni.
Peraltro, la conferma che lo strumento del decreto-legge è usato a sproposito dal Governo è contenuta nell’articolo 5 del provvedimento, dove viene istituito un nuovo comitato per la programmazione strategica e la cooperazione internazionale di polizia nell’ambito del Ministero dell’interno. Al comitato viene affidato il compito di elaborare linee di indirizzo strategico, definite urgenti, senza stabilire un termine per adottarle e senza dare alcuna indicazione sulla composizione del comitato stesso. Queste lacune purtroppo significano o che non c’è l’urgenza o che, se pure c’è, non verrà soddisfatta.
Il decreto-legge si occupa di quattro temi principali: la sicurezza urbana, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la tracciabilità dei flussi finanziari, sui quali è intervenuta in maniera puntuale l’onorevole Ferranti, e la sicurezza delle manifestazioni sportive.
Il primo punto è la parte peggiore del decreto-legge e, a parere del gruppo del Partito Democratico, andrebbe ritirata. L’articolo 8 risponde a criteri propagandistici e non aiuta la sicurezza urbana, né aumenta l’efficienza del funzionamento delle forze dell’ordine. Questa parte ricorda la questione delle ronde, con un’aggravante, che rischia di determinare confusione e conflittualità tra i diversi livelli istituzionali competenti in materia di sicurezza. L’articolo 8 stravolge il sistema di sicurezza pubblica. Rovescia, infatti, e capovolge il rapporto tra il sindaco, che diventa l’autorità che decide, e il prefetto, che diventa l’autorità che esegue senza nemmeno margini di discrezionalità, visto che la norma dice che il prefetto «dispone» – e non che «può disporre» – le misure ritenute necessarie per il concorso delle forze di polizia per assicurare l’attuazione delle ordinanze dei sindaci. In questo modo si sovverte il rapporto decisionale tra sindaci e prefetti: ai primi spetta il compito di decidere e condizionare l’impiego delle forze di polizia statali, ai secondi spetta il ruolo di esecutori.
La norma introdotta con l’articolo 8 mette in discussione la terzietà della funzione di polizia, che oggi è assicurata da prefetti e questori. Se i sindaci, cariche elettive che devono fare i conti con i voti dei cittadini, avranno il potere di decidere, utilizzando i prefetti, l’impiego delle forze di polizia, c’è il rischio che la funzione di polizia diventi strumento di consenso elettorale. Si pensi a quali conflitti si scateneranno nei comuni dove i sindaci decideranno Pag. 21di utilizzare le forze di polizia per eseguire ordinanze contestate dallo schieramento politico rivale. In quelle circostanze non ci sarà più un soggetto terzo al quale rivolgersi per ricomporre il conflitto, perché il prefetto sarà sottoposto al sindaco. Oppure – situazione ancor peggiore – si pensi a cosa accadrà nei comuni dove c’è una pesante infiltrazione della criminalità organizzata. In un Paese dove ogni anno, grazie all’azione di controllo e di verifica dei prefetti, decine di consigli comunali vengono sciolti per infiltrazioni mafiose, il decreto-legge rischia di produrre disastri. Nei comuni infiltrati, il sindaco colluso o peggio con la criminalità organizzata, anziché preoccuparsi dei controlli del prefetto, potrà obbligare proprio il prefetto a disporre l’impiego delle forze di polizia per eseguire l’attuazione delle sue ordinanze, che magari sono tese a favorire l’attività delle organizzazioni criminali.
Inoltre il decreto-legge contrasta con la Costituzione. L’articolo 117, infatti, assegna allo Stato la competenza esclusiva nelle materie ordine pubblico e sicurezza e pertanto l’autorità che deve decidere e disporre sull’uso delle forze dell’ordine in queste materie deve essere lo Stato e, quindi, il prefetto e il questore.
È urgente attuare la Costituzione che stabilisce che l’ordine e la sicurezza pubblica sono materie di competenza statale e la polizia amministrativa locale è di competenza regionale. Non si può andare avanti con interventi confusi e contraddittori: devono essere attuati al più presto gli articoli 117 e 118 e serve una legge statale che disciplini le forme di coordinamento tra Stato e regioni, che stabilisca in modo uniforme a livello nazionale gli ambiti amministrativi della polizia locale.
Tutti i soggetti istituzionali devono essere coinvolti per evitare sovrapposizioni e confusioni di ruoli, che hanno peggiorato la sicurezza dei cittadini e l’efficienza degli interventi delle forze dell’ordine e delle polizie locali: l’obiettivo è costruire un sistema integrato di sicurezza. Per la sicurezza urbana servono maggiori risorse alle autonomie locali e alle forze dell’ordine per aumentarne la presenza sul territorio.
Con il decreto-legge il Governo commette un grave errore, perché per ragioni di propaganda e di consenso rischia di scardinare l’assetto della sicurezza, producendo danni incalcolabili e una grande confusione; per nascondere le inadempienze e le insufficienze della propria azione, e i tagli pesantissimi alle autonomie locali (altro che attenzione ai poteri dei sindaci) il Governo ricorre alla propaganda e si inventa per i sindaci funzioni e compiti nuovi, e impossibili da esercitare. Un anno fa ci fu la presa in giro delle ronde; ora tocca ai sindaci sovraordinati ai prefetti. Sarebbe molto più serio e molto più utile destinare ai comuni i soldi che spettano loro (penso ad esempio allo sblocco del Patto di stabilità) per svolgere le funzioni che la legge attribuisce a legislazione vigente ai comuni (penso alle materie sul sociale dove si può fare davvero la prevenzione), che non inventarsi nuovi poteri senza poi far corrispondere le risorse per poterli esercitare. Sul secondo punto servono dei correttivi per far funzionare al meglio e potenziare l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Nei comuni con meno di 15 mila abitanti i beni sequestrati e confiscati devono poter essere destinati direttamente in concessione per finalità sociali agli organismi privati che assicurano la maggiore garanzia per il perseguimento dell’interesse pubblico. In questo modo si risolverebbe una delle maggiori difficoltà incontrate dall’Agenzia: la presenza di beni sequestrati e confiscati che non riescono ad essere assegnati perché nei comuni piccoli, dove c’è un forte inquinamento della criminalità organizzata, i sindaci subiscono pressioni che non consentono loro di procedere nell’assegnazione dei beni. Il terzo punto è condivisibile ma può essere migliorato e rafforzato, mentre, al contrario, alcuni emendamenti presentati da deputati del Popolo della Libertà in Commissione peggiorano il testo e ne vanificano gli obiettivi. Infatti in Pag. 22Commissione abbiamo visto proposte emendative della maggioranza che rendono incerti i modi e i tempi di entrata in vigore dell’obbligo di tracciabilità per gli appalti in corso e limitano la tracciabilità alle operazioni superiori ai 60 mila euro. Questi emendamenti devono essere ritirati, altrimenti la lotta alle mafie subirà un durissimo colpo d’arresto. Attenzione, perché questo è un tema molto delicato e molto importante. Dopo l’approvazione del piano mafia bisogna proseguire con determinazione e rigore nella lotta alla criminalità organizzata. La tracciabilità dei flussi finanziari per gli appalti può e deve diventare uno strumento efficace di prevenzione e contrasto delle infiltrazioni criminali nel tessuto economico legale, soprattutto in questa fase di crisi economica. La tracciabilità deve essere affiancata da nuovi interventi legislativi, come, ad esempio, l’introduzione del reato di autoriciclaggio del denaro proveniente da attività criminali. Per rendere più incisivo il decreto in esame è necessario introdurre una norma per far assumere gli obblighi sulla tracciabilità dei flussi finanziari anche ai subappaltatori e ai subcontraenti a pena della nullità dei contratti. Infine, sul quarto punto condividiamo il ripristino delle disposizioni contenute nell’articolo 8 commi 1-ter e quater della legge n. 401 del 1989: l’arresto in flagranza per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive e l’applicazione dell’arresto differito. In sostanza, quando non è possibile eseguire immediatamente l’arresto per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica, viene considerato in stato di flagranza chi, sulla base della documentazione videofotografica, risulta autore di un reato inerente alle manifestazioni sportive. Si tratta di norme utili, introdotte e confermate dagli ultimi due Governi, che hanno rafforzato gli strumenti di prevenzione e contrasto a disposizione delle forze dell’ordine. Mentre nei commi 1 e 2 dell’articolo 2 sono contenute norme indefinite e imprecise sugli steward che devono essere assolutamente precisate, il decreto prevede che al personale addetto agli impianti sportivi possono essere affidati altri servizi, ausiliari dell’attività di polizia, e che sarà un successivo decreto del Ministro dell’interno a stabilire le condizioni e le modalità per l’affidamento dei suddetti servizi. Gli ulteriori servizi da affidare devono essere definiti per rendere efficace la gestione degli impianti sportivi e perché nel decreto vengono previste delle disposizioni – sulle quali tutti concordiamo – di tutela penale per gli steward. Se si vuole concretizzare il modello di gestione degli impianti che responsabilizza le società sportive – e noi siamo per proseguire su questa strada, che condividiamo – bisogna determinare da subito, correggendo il decreto, quali sono gli altri servizi da affidare agli steward. In assenza di queste precisazioni necessarie è più serio stralciare i commi 1 e 2 e adottare un apposito provvedimento. Sulla sicurezza nelle manifestazioni sportive servono anche altri strumenti di legge che nel decreto non ci sono (e sui quali abbiamo presentato degli emendamenti). Bisogna migliorare, rendendole più incisive e più efficaci, le misure di prevenzione e contrasto dei comportamenti violenti di coloro che usano come pretesto le manifestazioni sportive per commettere gravi reati e causano seri pericoli per i tifosi e per gli sportivi. È necessario estendere il campo applicativo dell’articolo 6 della legge n. 401 del 1989 che stabilisce interventi a tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive.
In particolare, si tratta di allargare la tipologia di condotte per le quali il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive o ai luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di chi assiste o partecipa alle manifestazioni. Bisogna estendere la possibilità di vietare l’accesso alle persone condannate per i reati di cui all’articolo 380 del codice di procedura penale o sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza. In questo modo, il questore potrebbe vietare l’accesso ai colpevoli di delitti contro la personalità dello Stato, contro l’incolumità pubblica, di devastazione e saccheggio, agli appartenenti Pag. 23all’organizzazione di tipo mafioso e agli autori di reati connessi all’illegale fabbricazione e detenzione di armi ed esplosivi. L’estensione del divieto sarebbe molto utile per prevenire, in contesti dove sono diffuse pratiche violente, il radicamento di soggetti con un’accertata pericolosità sociale. Per rendere più sicure le manifestazioni sportive e prevenire e contrastare i comportamenti violenti, è necessario, inoltre, aumentare i limiti sanzionatori per le persone che non rispettano il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive. Infatti, l’esperienza di questi anni dimostra che, in molti casi, avviene una frequente e sistematica ripetizione delle condotte trasgressive e le attuali sanzioni non consentono l’esecuzione di misure di custodia cautelare che sono le uniche in grado di contrastare la reiterazione dei reati.
Per questi motivi, è opportuno che il Governo passi dalla propaganda all’azione concreta ed inizi ad affrontare in modo serio i problemi. Il Partito Democratico è pronto a confrontarsi sulla sicurezza, come dimostrano le nostre proposte emendative sul decreto-legge in discussione, e indica, come priorità d’intervento, l’aumento delle risorse per il comparto sicurezza e la creazione di un sistema di sicurezza integrato in attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione e non le scorciatoie alle quali il Governo ci ha abituato nel corso di questi anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).