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Sere fa a Ponticelli, un centro del Napoletano teatro di lotte intestine tra clan della criminalità organizzata, un commando ha sparato dei colpi contro un’auto della polizia. In aria, certo. L’intento non era quello di uccidere. Era, però, un’intimidazione, un avvertimento esplicito: qui comandiamo noi, la camorra, che caccia fuori lo Stato, le sue istituzioni e la polizia che ne è custode e garante sul territorio.

Viene in mente un ulteriore avvertimento, di tutt’altro genere. Più di dieci anni fa, Clinton ricevette un rapporto confidenziale il cui inizio recitava: “nel 2010 il mondo assisterà probabilmente alla nascita di nazioni criminali”.

Una profezia? Un’interpretazione contemporanea di Nostradamus? A molti verranno in mente stati e staterelli dell’America Latina. E in effetti molte zone del mondo sono di fatto sfuggite alla sovranità degli stati e delle loro istituzioni per passare sotto il controllo di veri e propri governi privati. Quel rapporto contava già allora ben 50 aree del pianeta ormai sottratte a ogni tipo di controllo statale e passate sotto il dominio di potenze criminali. In altre zone oggi il processo non è compiuto, ma è già avviato.

Una di queste è certamente il Mezzogiorno d’Italia, in cui negli ultimi trent’anni e particolarmente negli ultimi dieci, ampie aree del territorio, non solo urbano, sono state progressivamente sottoposte alla sovranità privata delle quattro principali organizzazioni mafiose.

Il consolidarsi di queste grandi organizzazioni ha profondamente modificato la struttura del blocco sociale dominante nel Mezzogiorno. La classe politica ed il mondo imprenditoriale, salvo rare ed eroiche eccezioni fortemente compromessi, hanno di fatto accettato un sistema “meta-giuridico” di spartizione degli appalti pubblici, in settori nevralgici come la sanità e la gestione dei rifiuti.
Alcuni studiosi pensano addirittura che la collusione si sia spinta ben oltre il compromesso tra poteri distinti, per dare luogo ad un nuovo amalgama sociale, ad una sorta di “borghesia mafiosa”.

Sta comunque di fatto che il grado di inquinamento e di corruzione delle amministrazioni locali ha raggiunto livelli elevatissimi, testimoniati dalle centinaia di casi di scioglimento di comuni per mafia e dalle richieste di arresto di parlamentari.

Uno studioso ha messo in luce i due principali rischi per la sicurezza: la rivolta nordista e la deriva mafiosa sudista.

La prima si è radicata al Nord, gelosamente conservatrice, decisa a contrastare le politiche sistematiche di trasferimento di risorse al Sud. Essa ha determinato, di fatto, l’abbandono dell’impegno meridionalista come priorità politica nazionale, con evidenti conseguenze in termini di assenza di progettualità e razionalizzazione degli interventi di sostegno da parte del Governo centrale.

Così sancendo un’idea dell’Italia con un Nord visto come un “grasso Belgio” profondamente e indissolubilmente inserito in Europa e un Sud abbandonato a un caotico e disordinato “se stesso”, secondo quella filosofia che malgrado proteste virtuose, è alla base del cosiddetto “federalismo fiscale all’italiana”.

Abbandonato a “se stesso”, il Sud rischia di essere travolto da un’ondata di criminalità mafiosa, forte di collegamenti internazionali sempre più consolidati. E – pur volendo tralasciare, in questa sede, ulteriori considerazioni in termini di slealtà nei confronti del Paese, della sua unità sanguinosamente conquistata, dei suoi valori costituzionali – ci sembra sfugga solo agli stolti che la rinuncia all’affermazione della sovranità statale in intere regioni del territorio nazionale non possa che produrre effetti nefasti anche sulla parte che si pretenderebbe di mantenere “sana”.

Ed infatti, quello che ostinatamente i settentrionalisti non vogliono ammettere è che le infiltrazioni criminali hanno già con successo tracimato nel “grasso Belgio” del Nord. Pensare che il sistema mafioso restasse confinato al Sud era pura ipocrisia, il cancro è risalito verso il Nord, si è impiantato stabilmente nelle grandi città, sta insidiando profondamente il sistema economico e deborda dallo stesso quadro italiano, con il rischio di condannare l’Italia a diventare un grande Mezzogiorno d’Europa, centro nevralgico della grande criminalità organizzata.

Il Sud d’Italia non è soltanto un problema italiano, è parte integrante della questione mediterranea. Gli eventi che stanno scuotendo l’area del medio oriente e del nord Africa, dimostrano la scarsa attitudine dell’Europa – e del nostro paese in particolare – ad interpretare e fronteggiare i fermenti che pure si stavano preparando e che mostrano che i bisogni di equità e di riscatto dalla fame e dalla miseria, vanno di pari passo con quelli di democrazia e libertà.

Non c’è una ricetta precostituita, se non introdurre regole di sviluppo armonico e rispettoso improntato all’aspirazione all’uguaglianza e alla solidarietà, non solo come valore morale, ma come contenuto irrinunciabile delle scelte politiche e Delle forme di cooperazione internazionale, pena caos, violenza, guerre, anche civili, migrazioni.

L’Italia è al fianco delle maggiori potenze in missioni internazionali intese a esportare democrazia e rafforzamento delle istituzioni. Eppure al suo interno sembra poco impegnata a difendere le sue istituzioni minacciate da pulsioni divisorie e a difendere la sua unità, senza la quale tutto il paese è destinato a una paurosa regressione economica, sociale, politica a morale e a subire sempre più prepotentemente la pressione dell’illegalità e della criminalità. Questa terribile resa non è più solo una minaccia. Ed infatti le inaccettabili condizioni di inadeguatezza delle forze di polizia, prive di mezzi, penalizzate economicamente e nella professionalità, l’attacco alla credibilità ed all’autorevolezza della magistratura, che va a colpire direttamente o indirettamente magistrati impegnati nella lotta alle mafie ed alla criminalità organizzata in genere, non possono che trasmettere l’immagine di un Stato profondamente diviso al suo interno, impotente, arreso o quanto meno debole, talora ricattabile e dunque più vulnerabile nel contrasto all’illegalità.

L’abbandono delle regioni del meridione rappresenta un’ammissione di fragilità davanti alle dichiarazioni di guerra della malavita, che non si manifestano solo nel modo appariscente scelto per l’intimidazione di Ponticelli. Che le vicende di Napoli, legate al problema dei rifiuti, rechino l’impronta del ricatto camorrista che da decenni viene esercitato nell’ambito delle attività di raccolta, trasporto e smaltimento, è risaputo. E riteniamo con assoluta convinzione che la risposta a queste pressioni criminali non possa che essere quella della trasparenza, dell’efficienza, della condivisione di responsabilità, della corretta amministrazione. Insomma dell’applicazione delle regole democratiche nelle decisioni politiche e in quelle imprenditoriali.

Il tema di rifiuti ci appare emblematico e non può certo ritenersi limitato ad una città o ad una provincia. Per permettere il trasferimento provvisorio dell’immondizia napoletana in attesa che entrino in funzione gli altri necessari meccanismi previsti dal sindaco de Magistris, è necessario un decreto governativo che consenta di superare i contrasti locali e imponga alle Regioni un modello di solidarietà che esse sembrano restie ad accogliere.

Il Presidente Napolitano ha rivolto un appello a tutte le parti in causa e in particolare al Governo affinché scongiuri, una calamità sanitaria che avrebbe conseguenze incalcolabili. Il Presidente della Regione si è dimesso polemicamente.
La lotta alla criminalità non si combatte solo con le catture, più o meno spettacolari, dei latitanti.

La sicurezza non si garantisce con il solo – e spesso apparente – mantenimento dell’ordine pubblico, ma si realizza con il reale ripristino delle condizioni di legalità, restituendo autorevolezza alle istituzioni, rafforzandone l’intervento anche attraverso il potenziamento dei corpi e degli organismi che le tutelano, cui deve essere garantita concreta possibilità di successo.

La sicurezza, specie nelle regioni più svantaggiate del Paese, non può essere affidata solo all’opera di pochi “uomini di buona volontà”, condannati ad operare in contesti caratterizzati da una cronica carenza di personale, mezzi, strutture, ultimo baluardo di uno Stato che sembra ricordarsi di loro solo in occasione di operazioni eclatanti. La sicurezza va pazientemente e faticosamente costruita, salvaguardando i diritti inviolabili dei singoli e della collettività, garantendo lavoro, istruzione, interventi di supporto che siano frutto di una razionale ed articolata pianificazione, in un Paese finalmente concorde e pacificato, che sappia offrire, innanzitutto, sotto il profilo istituzionale, un’immagine di coesione, responsabilità e rigore morale.

Enzo Marco Letizia