Nella relazione di accompagnamento al disegno al disegno di legge sulla riforma di polizia, presentato su iniziativa del Governo, il ministro dell’Interno dell’epoca delineava come punto qualificante del disegno lo strumento di coordinamento politico ed operativo delle varie forze di polizia, con cui sarebbero state garantite, nel rispetto dei diversi modelli organizzativi e delle specifiche professionalità ed esperienze, l’unitarietà dei fini e la possibilità di impiego delle forze a disposizione, in un disegno differenziato ma organico sia per il contrasto alla criminalità sia per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. La relativa continuità istituzionale fu rappresentata dalla stessa finalità del ministero dell’Interno di dover provvedere alla “conservazione dello Stato ed alla conservazione dell’ordine giuridico e sociale fissato nella Carta costituzionale e nelle leggi della Repubblica”. In tale contesto, il legislatore del 1981 affidò la regia operativa al questore, anch’esso qualificato Autorità provinciale di pubblica sicurezza, come organo di polizia responsabile della direzione – precisò la stessa relazione al disegno di legge – sul piano tecnico-operativo, di quel coordinamento interforze che, sul piano politico-amministrativo, fa capo al prefetto.

È questo, però, l’aspetto del coordinamento che ha incontrato più resistenze nella sua applicazione, che si sono trascinate fino ai giorni nostri. Mancano, al riguardo, norme che accanto alla responsabilità di coordinamento del questore possano rendere effettiva la funzione di direzione, propria delle intenzioni del legislatore del 1981, oggi limitata ai soli servizi di ordine pubblico con la relativa ordinanza. Tale funzione appare, dunque, svuotata di contenuto specie con riferimento alla materia della sicurezza pubblica, rispetto alla quale si rivelano fondamentali le informazioni relative all’attività di contrasto al crimine. Infatti le comunicazioni da parte delle altre forze di polizia sono spesso telegrafiche ed insoddisfacenti, a causa della tradizionale competizione tra i diversi Corpi, con il paradosso che, invece, sulla stampa lo stesso fatto è descritto nei particolari, che si rivelerebbero essenziali alle attività di analisi prodromiche alla pianificazione dell’azione di prevenzione e repressione del crimine nei diversi contesti ambientali.

Sottolineano gli studiosi che è «inevitabile che in popolazioni or-ganizzative omologhe la compresenza di una pluralità di attori con missioni simili dia vita a forme di competizioni». Una competizione, in particolare tra polizia e carabinieri, voluta dalla classe politica italiana, fino alla legge di riforma, in quanto ritenuta stabilizzatrice per la giovane repubblica postbellica, tanto che si valutò che la polizia, come corpo militare, assicurasse il parallelismo di struttura tra i due principali corpi di polizia con il relativo bilanciamento dei fattori di potenza che i corpi militari esprimono con l’armamento pesante. Perciò, la questione del coordinamento è antica e tesa ad armonizzare una competizione che fu persino esasperatamente indotta nei periodi difficili della storia repubblicana del Paese. Peraltro, va evidenziato che la conflittualità e la contrapposizione tra le due forze di polizia negli anni settanta furono maggiori – tanto da causare anche episodi di vera e propria ostilità – di quelle che si registrano oggi, per cui si può certamente affermare che la riforma di polizia con lo strumento del coordinamento, pur con le lacune applicative che presenta, ha generato risultati positivi rispetto all’epoca di promulgazione della legge di riforma.

Al riguardo, Antonio Manganelli ha scritto che «la legge 121/81 in-trodusse il concetto di coordinamento, in un momento storico in cui le Forze di polizia apparivano ancora distanti tra di loro e poco dialoganti. Oggi [….] è preferibile parlare di integrazione ed interazione […] dove si persegue l’obbiettivo della razionalizzazione delle potenzialità strutturali ed operative delle singole Forze di polizia, attraverso l’ottimizzazione dell’impiego e la distribuzione delle rispettive risorse […] il problema della sicurezza va affrontato in maniera interdisciplinare, secondo le diverse responsabilità dei ruoli ricoperti da ciascun attore».

D’altronde, se si osservano con attenzione le criticità emerse da una ricerca di Carrer, esse non evidenziano una situazione di contrapposizione bensì di una conflittualità-competizione fisiologica, riscontrabile in tutte le realtà, anche estere, dove sono presenti più corpi di polizia.

Ad esempio, come ricordano Ferret e Maffre a proposito della real-tà spagnola, esiste una concorrenza di compiti che interessa non solo i rapporti fra il livello nazionale ed il livello autonomo, ma anche fra quest’ultimo e quello delle Polizie locali, che tendono a rivendicare il loro diritto a gestire loro stesse i problemi comunali. «Gli stessi problemi di definizione della prossimità si pongono fra queste due polizie, come fra Polizia nazionale e Polizie autonome. Volendo forzare la realtà, si potrebbe dire che la Polizia autonoma domanda di diventare una polizia integrale e “nazionale” sul proprio territorio regionale, grazie alla sua funzione di coordinamento delle polizie locali, mentre queste ultime aspirano ad altre prospettive di “autonomia”, riferendosi all’autonomia comunale».

Dunque, è essenziale migliorare i flussi informativi sia delle polizie statali che locali verso la questura, per rendere effettivo il coordinamento operativo del questore nelle funzioni di prevenzione e repressione dei reati per garantire la sicurezza pubblica così come nelle attività tese ad assicurare l’ordine pubblico.

Inoltre, con riferimento al compito della Polizia di Stato di solleci-tare la collaborazione dei cittadini per i fini istituzionali, occorre rafforzare le funzioni di coordinamento del questore, poiché le politiche di sicurezza, caratterizzatesi con il partenariato attraverso un sistema reticolare di più enti pubblici e soggetti privati secondo una logica di cooperazione, richiede che le azioni dei vari attori della sicurezza siano tra loro armoniche in un indirizzo unitario.

Infatti, se osserviamo i patti per la sicurezza, strumenti attuativi della politica di partenariato, essi “consistono in più fondi, più uomini, in azioni mirate per la sicurezza, interventi per affrontare la questione dei rom, misure anticontraffazione, interventi di contrasto allo sfruttamento della prostituzione, all’abusivismo commerciale ed alle forme di mendicità organizzata, nonché ad una riorganizzazione dei presidi delle forze di polizia”. Si tratta, dunque, di misure finalizzate al controllo ed alla repressione di fenomeni di illegalità che necessitano, per la relativa attuazione, di un maggiore coordinamento e scambio di informazioni.

Roma, 15 novembre 2013
Enzo Marco Letizia

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