Oggetto: la paradossale vicenda del V.Q.A. Carlo BAFFI.

 

Signor Capo della Polizia,
il Vice Questore Aggiunto Carlo Baffi venne sottoposto ad indagini dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste nel maggio del 2012 perché accusato – nella sua veste di dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Trieste – di aver privato della libertà personale diverse centinaia di cittadini extracomunitari in posizione di irregolare soggiorno sul territorio nazionale durante le fasi procedurali propedeutiche all’espulsione dei medesimi.
La pubblica accusa ritenne che durante l’inevitabile spazio temporale intercorrente tra i momenti del controllo dello straniero da espellere e quello della convalida da parte del giudice di pace del provvedimento da espulsione, il destinatario del provvedimento non avrebbe potuto essere trattenuto all’interno degli uffici di polizia (come invece avveniva tradizionalmente sulla scorta delle indicazioni, in tal senso molto precise, del Dipartimento della P.S.).
Il pubblico ministero procedente chiese per il Vice Questore aggiunto Carlo Baffi una condanna alla pena della reclusione per 5 anni, 9 mesi, 10 giorni, nonché l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il processo di primo grado si è concluso lo scorso 4 giugno dinanzi al G.I.P. del Tribunale di Trieste (in sede di giudizio abbreviato) con l’assoluzione del Funzionario (e di altri 6 poliziotti all’epoca dei fatti tutti in servizio presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Trieste) perché “il fatto non sussiste”.
Il Giudice ha infatti ritenuto le accuse manifestamente infondate e destituite di ogni fondamento così, tra le altre cose, chiosando: “l’espulsione di un clandestino deve necessariamente avvenire con il trattenimento dell’interessato, e questa privazione della libertà personale non può assolutamente integrare il sequestro di persona, in caso contrario nessuna espulsione sarebbe praticabile”.
Contro la sentenza, però, il pubblico ministero ha presentato il 30 agosto dichiarazione di appello ritenendo al contrario che l’unica possibilità di trattenere lo straniero durante la fase espulsiva sia quella della restrizione presso un C.I.E. (così non lasciando alcuno spazio applicativo alla chiara disposizione contenuta nel comma 5 bis dell’articolo 13 del testo unico immigrati secondo la quale “in attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso e’ trattenuto in uno dei centri di identificazione ed espulsione, di cui all’articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui e’ stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili”).
Per effetto dell’intera vicenda così sinteticamente riassunta il Vice Questore aggiunto Carlo Baffi è stato sospeso da ogni scrutinio per la progressione di carriera non riuscendo nemmeno ad ottenere l’inquadramento – e parliamo di un funzionario con 29 anni di servizio che non ha fatto altro che adempiere fedelmente alle direttive del Dipartimento della P.S. (la circostanza è incontestabile) – nella nuova qualifica di Vice Questore (così di fatto retrocedendo – nel sistema delle corrispondenze di qualifiche e gradi con le forze di polizia ad ordinamento militare – dal “rango” di Tenente Colonnello a quello di Maggiore).
La paradossale storia richiede un urgente intervento: ad oggi nessuna Questura procede alle espulsioni degli stranieri irregolari ricorrendo all’applicazione del comma 5 bis dell’articolo 13 del testo unico immigrati (salvo alcuni rari casi di “accordo preventivo” con le Procure della Repubblica) preferendo invitare presso gli Uffici Immigrazione gli stranieri da espellere ai sensi dell’articolo 650 del codice penale (che la Corte di Cassazione, in più occasioni, ha indicato come comportamento non lecito, poiché “l’ordine di allontanamento del Questore e la relativa sequenza procedimentale stabilita in materia dall’art. 14 d. lsg. 25 luglio 1998, n. 286, non possono essere surrogati da altri atti” – da ultimo, Cass. Pen., sez. I, 25 novembre 2014. n. 51186).
L’intervento è urgente perché non è giusto lasciare ogni singolo operatore della Polizia di Stato (ma anche di tutte le altre forze di polizia) nell’incertezza del “da farsi”, incerto se rischiare un’imputazione per sequestro di persona oppure una per omissione di atti d’ufficio.

Roma, 24 settembre 2018
Enzo Marco Letizia

 

LETTERA AL CAPO DELLA POLIZIA