280-2editorialeStudenti rabbiosamente ridenti sui monumenti simbolo: Colosseo, Torre di Pisa, Mole Antonelliana. E’ l’immaginazione che prima del potere si prende la scena. E detta le regole dello spettacolo e insieme quelle dell’antagonismo creativo. Ed è bello anche se dissacrante questo appropriarsi di luoghi di culto storico e culturale, perché è un gesto esemplare e simbolico che parla di voglia di riprendersi il passato, le memorie, per rivendicare il futuro, un futuro minacciato dalla crisi, ma anche da una disinvolta sottovalutazione del ruolo e del necessario primato che va attribuito alla cultura all’informazione, al sapere e alla conoscenza.
Vedere srotolarsi quello striscione sulla Mole ha dato emozione a una generazione, la mia, che ha pensato che certe conquiste fossero ormai patrimonio condiviso, che non sarebbe stato, sia pure tra difficoltà, messo in discussione: lavoro, garanzie, sicurezze economiche e sociali. Emozione e un senso di penosa inadeguatezza, per non aver tutelato e promosso il loro ritiro, per non averlo difeso nello svolgersi di una crisi che è anche morale.
Ma nel solidarizzare non nascondo invece un certo malessere. Che anche in questo caso è frutto di autocritica. Perché tutti indistintamente direttamente o solo per aver subito nell’indifferenza, abbiamo contribuito al crearsi di un clima di disinvolta trascuratezza, di sottovalutazione, per non dire di irrispetto per le istituzioni. E per i loro luoghi simbolici. Le irruzioni al Senato ed i tentativi a Montecitorio forse ai più sembrano solo una reazione intemperante all’incapacità del potere politico di dare ascolto ai bisogni collettivi, al distacco dalla realtà e dalla cittadinanza che  sta mostrando da diversi anni. Ed è così. Ma ha anche il carattere inquietante e dimostrativo (quello stesso che innerva pericolosamente la vita pubblica e evidentemente influenza la pubblica opinione) di una sprezzante sfiducia e disaffezione nei confronti di regole e simboli. Il Senato e la Camera per questi ragazzi non sono inviolabili, come lo erano per noi che guardavamo ad essi come a santuari della democrazia e della rappresentatività. Sono diventati, anche a causa di chi ne fa cattivo uso ed “utenza”, le enclaves del potere, il Palazzo dove si consuma un esercizio del potere percepito sempre più personalistico e prevaricatore.
È una colpa collettiva sia di chi ne abusa sia di chi la tollera. E non possiamo che dolerci di aver allontanato i ragazzi dalla storia di questo Paese, dalla sua democrazia nata dalla resistenza e dal rispetto per i suoi luoghi simbolo. Senza dar loro un futuro altrettanto sano e radioso.