“Dobbiamo spiegare ai giovani chi sono e come vivono i mafiosi, dobbiamo convincerli perché da soli non ce la possiamo fare”. Con queste parole Beppe Montana, Commissario della Squadra Mobile di Palermo, ucciso il 28 luglio 1985, chiedeva alla società civile e alle istituzioni di fare la propria parte per contrastare le mafie. 31 anni sono passati da quella frase e da quell’impegno spenti dai colpi di pistola di Cosa Nostra. Eppure quelle parole e quella intuizione rappresentano una lezione attuale: Beppe Montana viene ammazzato una domenica sera di quella estate di sangue, appena un anno dopo l’uccisione del compagno di tante battaglie Rocco Chinnici, col quale nel poco tempo libero si era recato spesso nelle scuole per parlare ai ragazzini raccontando la mafia e il sacrificio di tutte quelle persone che ad essa si erano opposti. Una settimana prima dell’agguato nel quale trovarono la morte Ninni Cassarà e uno degli agenti di scorta, sui quali furono scaricati, come in una guerra, duecento colpi di mitra.
Di loro sappiamo che erano amici, che avevano collaborato con pochi mezzi e turni massacranti, in quella fase così difficile : “A Palermo siamo poco più d’una decina a costituire un reale pericolo per la mafia. E bersagli facili, purtroppo – aveva detto proprio Montana in occasione dell’assassinio di Chinnici – e se i mafiosi decidono di ammazzarci possono farlo senza difficoltà”. Eppure dobbiamo a loro, all’opera infaticabile di quei poliziotti, di magistrati come Falcone e Borsellino (che proprio in quei mesi sono all’Asinara a preparare l’istruttoria per il maxi-processo), alla tenacia, alla competenza e al talento investigativo di tanti servitori dello Stato, se ebbe inizio un’epoca nuova nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata in Sicilia.
Fu proprio Montana, che i colleghi e i suoi uomini chiamavano Serpico per la sua determinazione instancabile, arrivato a Palermo nell’82 all’indomani della morte del Generale Dalla Chiesa, a riorganizzare secondo criteri di efficienza la sezione “Catturandi” , conseguendo successi straordinari nella ricerca di latitanti, scoprendo gli arsenali dei boss, colpendo la rete del traffico di droga e del contrabbando guidata da Tommaso Spataro, eseguendo parte dei 475 mandati di cattura emessi dal pool antimafia, arrestando a pochi giorni dell’imboscata nella quale trovò la morte, otto degli uomini di fiducia di Michele Greco. Investigatore dallo straordinario intuito, capace di ricostruire una vicenda criminale partendo da un indizio apparentemente trascurabile, è tra i pochi che di Cosa Nostra prova a delineare un quadro completo, cercando i collegamenti con le altre organizzazioni criminali, specialmente negli Stati Uniti e in Campania, indirizzando le sue indagini sulle piste internazionali che facevano pervenire in Sicilia i proventi del traffico di droga da destinare al riciclaggio e alla circolazione nei flussi legali, proprio come aveva fatto Boris Giuliano, ucciso sei anni prima.
Recita così la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Civile alla sua memoria: «Sprezzante dei pericoli cui si esponeva nell’operare contro la feroce organizzazione mafiosa, svolgeva in prima persona e con spirito d’iniziativa non comune, un intenso e complesso lavoro investigativo che portava all’identificazione e all’arresto di numerosi fuorilegge. Testimonianza di attaccamento al dovere spinto fino all’estremo sacrificio della vita».
Sono 1442 i poliziotti caduti in servizio dal 15 aprile del 1945, per garantire la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni. Tanti di loro hanno dato la vita nella lotta contro la mafia. Il loro sacrificio è un esempio, ma deve essere anche un impegno comune che deve svilupparsi nella società tutta; nell’economia, che in tempi di crisi è esposta alla penetrazione delle organizzazioni criminali; nella politica, la cui autorevolezza rischia di essere compromessa da fenomeni corruttivi e clientelari; nell’informazione, che deve liberarsi dalle tentazioni del sensazionalismo per recuperare il suo ruolo di servizio; nella scuola, dove Montana, Chinnici e Cassarà andavano a fare lezione di cultura della legalità, perché educhi le generazioni future al rispetto dei diritti, alla democrazia e alla libertà di vivere da uguali, senza paura e con dignità.

Lorena LA SPINA

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