ORDINE PUBBLICO E CODICE IDENTIFICATIVO

Di fronte alle sempre più frequenti degenerazioni delle manifestazioni di protesta, che turbano l’ordine e la sicurezza pubblica con azioni di vera e propria guerriglia urbana, emerge che il rapporto di forza tra i cosiddetti “antagonisti violenti” (equipaggiati con protezioni al corpo ed al capo a mezzo di caschi da motociclista, maschere antigas, armati con bastoni, spranghe, bombe molotov, fionde, fumogeni, grossi petardi, bombe carta arricchite con schegge metalliche e tondini, ecc.) e le Forze dell’Ordine, sta mutando decisamente a sfavore di queste ultime. Vanno perciò individuate misure e stanziate risorse per superare le criticità che affliggono i Reparti Mobili della Polizia di Stato e gli equivalenti reparti dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, che con gli attuali organici, in costante diminuzione da anni per i tagli alla sicurezza e con un ridotto equipaggiamento a disposizione degli uffici territoriali, sono al limite delle loro prestazioni.

La soluzione non è certamente quella di ricorrere alla militarizzazione del governo dell’ordine pubblico ma di potenziare le forze di Polizia, incaricate della difesa dei cittadini e della salvaguardia delle istituzioni – e quindi della democrazia – attraverso maggiori dotazioni, attrezzature, strumenti, preparazione specialistica, che riaffermino l’urgenza inderogabile di investimenti in sicurezza.

Nei vari teatri della contestazione, così come nelle manifestazioni di piazza ormai si impongono soggetti che mostrano di possedere un inquietante “know how”, con strumenti, tecniche, modalità, tattiche di guerriglia basate su “parole d’ordine” diffuse tramite il web, i social network o attraverso la rete satellitare dei telefoni mobili. Il contrasto di questi nuovi attori dell’antagonismo non può più affidarsi alle sole cariche di alleggerimento ed all’uso dei lacrimogeni, sparati con i lanciagranate da 40 mm, che vengono puntualmente rilanciati contro gli agenti come boomerang, tanto che proprio le Forze dell’Ordine finiscono per subirne gli effetti.

Le condizioni di pericolo, la consapevolezza di non poter controllare gli eventi connessa alla scarsità dei mezzi e delle forze impiegate nelle manifestazioni, sono fattori stressanti che negli scontri e nelle azioni di dispersione della folla violenta possono generare in alcuni operatori delle Forze dell’Ordine comportamenti che oltrepassano i confini dell’etica professionale rispetto alla funzione istituzionale, per reazione alle violenze subite. Gli studi condotti sullo stress da ordine pubblico concludono che quanto meno un evento è controllabile tanto più verrà vissuto come logorante nelle reazioni emotivo-comportamentali.

Al fine di ridurre il senso di isolamento che può indurre atteggiamenti, azioni devianti e abusi, vanno create le condizioni, attraverso strumenti tecnologici e normativi, nelle quali l’agente impiegato in ordine pubblico si senta tutelato in un contesto di legalità e non di scontro fisico con i violenti, anche con la redazione di protocolli di comportamento, codici di condotta in grado di guidare l’operatore in azione, allo scopo di tutelare tutte le parti in causa gli attori (agenti e manifestanti).

È necessario dotare le nostre unità di strumenti di difesa dal lancio di petardi e di altri prodotti progettati per esplodere a terra, che, nella colpevole tolleranza di tutti i soggetti interessati, continuano ad essere immessi sul mercato.

Di fronte all’onda d’urto dei manifestanti e alle armi generalmente utilizzate, gli strumenti di difesa, a cominciare dagli sfollagente di gomma, si rivelano inadatti a sortire effetti deterrenti e inadeguati a proteggere il personale dai colpi di bastone o di spranga.
Utile si rivela l’impiego di scudi realizzati con materiali più moderni e leggeri, ma al tempo stesso più resistenti, quali il Dyneema ed il Kevlar (lo stesso materiale dei caschi da motociclista); come pure l’opportunità del ricorso a moderni erogatori individuali di Oleoresin Capsicum a getto balistico, che consentono di rendere inoffensiva una o più persone contemporaneamente, anche da 5-7 metri di distanza (peraltro di libera vendita), di peso e costo contenuto, che potrebbero consentire di fronteggiare molte situazioni di ordine pubblico, limitando il contatto fisico tra polizia e dimostranti.

Andrebbe studiato l’impiego di proiettili di gomma, che, se di tipo adeguato e usati da personale rigorosamente addestrato, sono innocui, ma di grande efficacia contro i violenti (da diversi anni sono del resto in commercio munizioni calibro 12 con proiettili in gomma “a soffietto”, che al momento dell’impatto si allargano fino a raggiungere un diametro di diversi centimetri).

Ma riteniamo di dover caldeggiare anche strumenti di difesa passiva, con uniformi ed accessori paracolpi adeguatamente strutturati per la protezione degli operatori e per la sicurezza dei servizi; fondine interne per la custodia della pistola, che sarebbero un accorgimento che potrebbe garantire maggiore sicurezza all’operatore e preservarlo da tentativi di sottrazione dell’arma; fucili “marcatori”, armi ad aria compressa che sparano sfere di plastica contenenti vernice colorata, con cui è possibile individuare ed identificare, anche dopo che è cessata l’emergenza, i soggetti più facinorosi e pericolosi.
Vanno sviluppate tecnologie che, nelle fasi più concitate, siano in grado di garantire continuità e qualità delle comunicazioni radio, oggi affidate a vecchie radio portatili, ingombranti, pesanti e di ostacolo alla mobilità di chi deve intervenire nei momenti di scontro.

Con grande soddisfazione abbiamo accolto l’utilizzo delle microtelecamere, per documentare interventi di ordine pubblico o altre azioni operative particolarmente sensibili ed a rischio, al fine sia di documentare i fatti con obiettività, evitando riprese parziali o mistificatorie, sia di predisporre prove inconfutabili per l’Autorità Giudiziaria. Si tratta di strumenti dei quali avevamo da anni sollecitato l’adozione, a tutela degli operatori della sicurezza, a garanzia di chi manifesta, a difesa della verità, spesso manomessa anche a causa dell’eccesso di mediatizzazione degli eventi, della loro spettacolarizzazione, che premia le cattive notizie e il sensazionalismo. E che spesso, in questi anni, ha scelto arbitrariamente tra buoni e cattivi, condannando le forze dell’ordine a stereotipi superati nella realtà e in larghissima maggioranza, salvo casi fortunatamente isolati e rispetto ai quali la Polizia ha sempre espresso riprovazione.

Per quanto sopra esposto in questa lunga disamina, è evidente che l’introduzione di un codice identificativo, anche di reparto, sulle divise o sui caschi delle forze di Polizia impegnate in ordine pubblico, nelle condizioni attuali, non assolverebbe alla finalità di assicurare requisiti di trasparenza e garanzia: al contrario, sotto l’apparente veste della deterrenza di comportamenti illegittimi, essa sarebbe uno strumento nelle mani dei professionisti del disordine, per denunciare in modo strumentale, ogni atto proprio dell’uso legittimo della forza da parte dei tutori dell’ordine.

Ripercorriamo per un momento le fasi calde e gli scontri delle ultime manifestazioni: all’improvviso gruppi consistenti, anche di centinaia di manifestanti, ben organizzati e coordinati tra loro, in punti imprecisati del corteo, coperti dall’accensione di fumogeni, si travisano indossando tutti un indumento dello stesso colore, in modo da essere indistinguibili ed irriconoscibili. Si dividono tra loro i ruoli di chi lancerà sampietrini, bombe carte, molotov, di chi affronterà le forze dell’ordine con spranghe di ferro o bastoni, solitamente usati come manici dei picconi, e di chi, pur non esercitando violenza diretta, ha il compito di coprire chi si ritira all’interno del gruppo, per confondere l’intervento selettivo da parte delle forze dell’ordine.

L’arretramento da parte di tutto il gruppo di facinorosi, coincide con le cariche di alleggerimento delle forze dell’ordine. Sono pochi i secondi in cui si svolgono queste azioni violente. È in quei brevi momenti che i violenti si svestono, approfittando della condizione momentanea, in cui il luogo è saturo del fumo dovuto sia ai lacrimogeni lanciati dai poliziotti, sia ai petardi e ai bengala utilizzati contro questi ultimi dai teppisti.
Il dismettere i panni del black bloc un attimo prima del contatto con le forze di polizia, rende per un fotogramma o per un’accusa di testimoni estrapolati dal contesto, tutti i violenti innocenti di quel che si è fatto fino a un attimo prima e tutti i poliziotti indiscriminatamente colpevoli.

Sarebbero così, attraverso il numero identificativo, centinaia i procedimenti penali aperti nei confronti degli appartenenti alle forza di polizia, in cui l’operatore avrebbe difficoltà oggettive nel dimostrare la propria innocenza e l’aver agito nell’assolvimento del proprio dovere attraverso l’uso legittimo della forza. Innumerevoli potrebbero essere anche le denunce strumentali, con ulteriori gravi conseguenze per i diretti interessati e per l’amministrazione della giustizia. Fin troppo evidenti sono i rischi unilaterali che correrebbero i poliziotti davanti ad una realtà travisabile e volutamente falsata dai manifestanti coinvolti negli scontri.

Il codice identificativo non può che essere un punto di arrivo, che si potrà concretizzare solo quando il livello degli strumenti legislativi e tecnici a disposizione, potrà garantire un contesto di legalità non manipolabile, che è presupposto ineliminabile per il godimento delle garanzie democratiche e dei diritti costituzionali.

DECRETO SICUREZZA URBANA: INCONTRO CON IL MINISTRO MINNITI