30-imagescas4ghtcCRISI DA CONSIGLIO

Anche quest’anno, come ogni anno, è stata officiata la stanca liturgia del Consiglio d’Amministrazione di primavera, quello atteso con più trepidazione dai funzionari di polizia, che gli affidano le aspettative di una vita di lavoro e che attendono azioni concrete che riconoscano la loro professionalità e valorizzino la specificità del loro ruolo e delle loro competenze.
Anche quest’anno, come ogni anno, quelle legittime attese sono state deluse e quelle esigenze, ragionevoli, lecite e tante volte procrastinate, sono state ancora una volta disattese.
Anche quest’anno, come ogni anno, di fronte alla richiesta pressante di riconoscere meriti, competenza, abnegazione, lealtà alle proprie funzioni e fedeltà alla missione di garanzia democratica, si è invece scelto di premiare secondo criteri aberranti, di ricompensare gli opportunismi, la cortigianeria, l’adulazione, di gratificare gli affiliati al cerchio magico di alcuni decisori, più interessati al consenso dei subalterni che all’autorevolezza e unità dell’istituzione.
Non possiamo non attribuire la responsabilità del malessere sempre più radicato nelle file dei funzionari, il peso del loro malcontento – che rischia di radicarsi creando disaffezione, contagiando tutte le sue gerarchie e compromettendo la tenuta della Polizia e la sua reputazione presso i cittadini – al Consiglio di Amministrazione, che non è certo ignaro dei nostri problemi, che sa bene che le nostre richieste sono sacrosante e che non ignora che non è più tempo di disattenderle, grazie al ripetuto richiamo a uno spirito di sacrifico cui non siamo mai venuti meno, ma che suona ormai come un ricatto troppe volte ripetuto.
Il Consiglio di Amministrazione non può non essere consapevole che i Funzionari di Polizia, a differenza di molti altri funzionari dello Stato, a cominciare da quelli che siedono acconto a noi al Ministero dell’Interno, da oltre un decennio vivono al di sotto della loro professionalità, dell’incarico che sono chiamati a svolgere, perfino della dignità e della reputazione imposta dalla missione di garanzia loro attribuita, fino ad essere, in qualche caso, addirittura vulnerabili rispetto alle pressioni esterne. I sacrifici richiesti dal rigore e dall’austerità li abbiamo compiuti prima di tutti gli Italiani, abituati come siamo all’abnegazione, ma penalizzati proprio dalla nostra vocazione alla salvaguardia dell’interesse generale, che, pur rappresentando una preziosa qualità legata alla nostra funzione, è diventato purtroppo una condanna alla penitenza, quando non all’umiliazione.
Anche quest’anno i molti esclusi a fronte dei pochi “salvati” sanno bene che tra i promossi ci sono anche colleghi meritevoli che però vengono accostati ad inadeguati ben conosciuti e che la colpa di aver scelto questi inetti ricade interamente su chi ha presentato e sostenuto l’impresentabile. Eppure chi ha effettuato quelle scelte irresponsabili, sa benissimo che basta l’intemperanza di uno “yesman”, l’incertezza di un singolo incapace, l’inadeguatezza al suo compito di un favorito, per gettare una cattiva luce sull’intera istituzione, che basta, come tante volte è successo, una singola mela marcia o bacata per compromettere l’immagine della Polizia minando, così, la fiducia dei cittadini nei nostri confronti.
Eppure il Consiglio, l’Amministrazione e il Viminale sembrano essere più attenti alla visibilità che alla reputazione, all’approvazione di pochi fedelissimi, che al rispetto e all’affidabilità delle donne e degli uomini della sicurezza e al credito dei cittadini. E sembrano essere anche indifferenti ai valori della competenza, della professionalità e della dignità stessa dell’apparato dirigenziale, quella “testa” che deve garantire decisionalità, fermezza, controllo saldo degli uomini e del territorio. Per estirpare questa malapianta, per curare questa vera e propria infezione che tanto nuoce alla Polizia e che getta ombre anche su chi, nel quotidiano rispetto dei principi costituzionali e della leggi, vi lavora onestamente, è necessaria una vera e propria “rivoluzione morale” che inneschi il rinnovamento dell’Istituzione per mettere gli uomini giusti al posto giusto.
Il mancato formale riconoscimento delle peculiarità che caratterizzano, all’interno della Polizia di Stato, le funzioni svolte dal nostro ruolo, si esprime ancora una volta con il riconfermato disinteresse per le esigenze di progressione interna, con la colpevole disattenzione rispetto alle nostre proposte per il riconoscimento della carriera unitaria e dirigenziale.
Il mancato riconoscimento della carriera unitaria e dirigenziale produce una serie di effetti deteriori a catena: da un lato, infatti, introduce un’inaccettabile disallineamento rispetto alle altre categorie del pubblico impiego che hanno già da tempo beneficiato della dirigenzializzazione (disallineamento ancor più grave rispetto ai funzionari prefettizi ed a quelli del ruolo civile); dall’altro determina un ingiustificabile e opportunistico appiattimento dei funzionari del ruolo direttivo rispetto al personale degli altri ruoli della Polizia di Stato ed infine alimenta la perpetuazione di criteri assolutamente arbitrari e privi di qualsiasi reale aggancio ad elementi di valutazione oggettivi e idonei a valorizzare l’applicazione di principi di meritocrazia e parità di trattamento nella progressione in carriera, finalizzata all’accesso alla dirigenza.
Questa situazione si rivela francamente insostenibile. Troppi sono i sacrifici che continuano ad essere richiesti sempre e solo ai pochi di buona volontà, contando sulla fedeltà all’Istituzione, sul senso del dovere, sull’attaccamento al proprio Ufficio e dimenticando che la professionalità e la gestione delle enormi responsabilità connesse al profilo funzionale della nostra categoria deve ottenere la giusta e dovuta remunerazione, sia sotto il profilo economico sia per ciò che attiene alla progressione in carriera.
Ignorata persino la questione anagrafica, “una vera e propria bomba della demotivazione” ormai deflagrata, che affonda la speranza di ottenere le dovute soddisfazioni dal proprio lavoro, con effetti collaterali devastanti per l’intera istituzione.
Siamo stanchi di vedere avvalorate nei fatti le nostre peggiori previsioni, di vedere penalizzate le ambizioni, di vedere riconosciuti i meriti, di vedere criminalizzati i bisogni elementari di una remunerazione adeguata al proprio ruolo professionale e alle responsabilità che competono a funzioni di dirigenza. E siamo stanchi di ripetere come si tratti di esigenze e di diritti la cui mancata soddisfazione si ripercuote sulla sicurezza, messa a rischio da uomini affaticati, anziani, insoddisfatti, inappagati e costretti a contare sull’abnegazione e il sacrificio più che sulla soddisfazione delle necessità, sullo spirito di corpo, più che sul rispetto e la stima dei vertici.
E’ ormai giunto il momento che l’Amministrazione cui apparteniamo ed il Ministero che ci rappresenta si facciano realmente carico di questa condizione e ci garantiscano le risposte che da troppi anni continuiamo ad attendere e che, tuttavia, non abbiamo mai smesso di rivendicare.

Roma, 28 giugno 2013

Enzo Marco Letizia