La criminalità organizzata ha cambiato faccia. Colletti bianchi e insospettabili professionisti hanno preso il posto di padrini e picciotti e agiscono nell’impunità mirando a profitto e potere con procedure e metodi che si sono profondamente innovati: attività imprenditoriali collocate nell’economia reale attraverso un intreccio di partecipazioni azionarie, joint venture, investimenti immobiliari, nel quale il traffico di droga è solo una voce di profitto rispetto al controllo soffocante sulla spesa pubblica.
È cambiata la fisionomia dei loro “amici”: una volta quelli che favorivano, proteggevano, coprivano, restavano nell’ombra, fuori dall’organizzazione. Oggi ne sono un pezzo, partecipano in prima persona e a pieno titolo primari, amministratori, parlamentari, commercialisti, banchieri o bancari, operatori in doppiopetto, capaci di coprire tutte le esigenze della filiera malavitosa: sparare, riciclare, progettare, approvare, firmare, mettere in cima o in fondo alla pila di permessi, fatture, autorizzazioni. Per combatterla bisogna essere svegli, preparati competenti e bene attrezzati. E motivati.
Lo sappiamo tutti, sembra proprio non saperlo il governo, se nella legge di stabilita’ al comma 21 dell’articolo 4 si colpisce il personale della Direzione investigativa antimafia, riducendogli la busta paga, con una un provvedimento che decurta fino al 20% delle loro entrate mensili. Si tratta di una misura punitiva nei confronti di chi ha svolto indagini delicatissime ed ha negli ultime 3 anni sequestrato beni per 5,7 miliardi di cui 1, 2 miliardi di euro sono stati confiscati. E che si aggiunge alla sottrazione di fondi che sta strozzando il funzionamento del servizio di protezione per i pentiti e testimoni di giustizia, smantellando nei fatti le strutture cardine dell’antimafia.

Ancora una volta sembra che l’Italia voglia eroi, martiri, misure speciali e riflettori. Ma per fronteggiare la criminalità organizzata, che si è insinuata negli interstizi finanziari e si è posata con il favore di molte insospettabili complicità negli ampi alvei della corruttela, oggi non occorre la muscolarità dei corpi speciali, il frastuono dei ripetitori spettacolari. Serve invece una azione continua, capillare ed efficiente, condotta da una forza in campo fatta di professionisti preparati, impegnati quotidianamente e sostenuti da un tessuto organizzativo capillare, robusto, ben attrezzato e moderno. Costituita da uomini e donne stimolati e incentivati, proprio perché sono in prima linea nella tutela delle garanzie e nella difesa della legalità. E che dovrebbero essere tanti, ben pagati, ben formati, ben addestrati e soddisfatti del loro incarico e delle loro remunerazioni, che rappresentano il primo indispensabile riconoscimento di una azione condotta nell’interesse generale.

La guerra alla criminalità organizzata è una delle componenti irrinunciabili delle istanze di salvaguardia e difesa dell’interesse generale. Ci riguarda tutti come riguarda che i servitori dello Stato siano in condizione di svolgere il loro incarico nel rispetto della loro professionalità e dignità.
Ogni giorno ci accade di ricordare e commemorare qualcuno – troppi – che ha sacrificato la sua vita nell’adempimento del suo dovere, caduto in quella guerra. Il modo migliore per ricordarli è richiamare al dovere tutti noi, quello Stato per il quale sono morti, il governo che li dimentica se mostra slealtà nei loro confronti avvilendo il lavoro di chi ne prosegue l’opera.