L’incursione neo fascista presso la sede del quotidiano “la Repubblica” e la bomba collocata davanti alla stazione dell’Arma dei Carabinieri a San Giovanni, sono episodi recenti che impongono grande vigilanza e attenzione.

Al netto di quelle che ci sembrano solo pretestuose e divisive strumentalizzazioni, ciò che per noi più conta, in considerazione dello specifico ruolo che svolgiamo e delle responsabilità che con esso ci siamo assunti, è tentare un’analisi che consenta, al contempo, di coglierne gli elementi di vicinanza e di inequivoca distinzione. Infatti, c’è da un lato un aspetto comune che lega questi fatti: la matrice eversiva che accomuna rivendicazioni e intimidazioni che richiamano esplicitamente il fascismo e il nazismo, alle azioni e agli avvertimenti minatori di una anarchia che ha scelto di mettersi fuori dal confronto civile.

In tutti e due i casi ci confrontiamo con soggetti che evocano un passato conosciuto solo attraverso slogan e propaganda, ma che, per loro fortuna, non hanno dovuto subire sulla loro pelle, lastricato di morte, oppressione, sangue e paura.

Ne hanno appreso riti, divise, parole d’ordine di seconda mano, spesso in quella rete in cui circolano conoscenze e informazioni, ma anche i molti veleni di una comunicazione grezza e mai sottoposta a controlli e verifiche e che perciò fa molte vittime tra i giovani esposti alla fascinazione di modelli negativi e di cattivi maestri, compresi i boss dei clan di Ostia o i terroristi riparati altrove e protetti da quello stesso stato di diritto, cardine della democrazia che hanno combattuto.

In entrambi i casi, quindi, c’è il pericolo di un’ideologia sterile, che coagula intorno a sé pulsioni violente ed estremiste, ma che resta priva di una radice culturale profonda ed è, pertanto, per certi versi ancora più insidiosa da affrontare.

Ma tra questi episodi una differenza c’è e consiste negli sviluppi che possono avere, nelle misure da mettere in campo, nel ruolo che devono svolgere l’informazione, l’istruzione, la società civile nel suo complesso.

Una bomba piazzata davanti a una caserma delle forze dell’ordine, è un attacco diretto contro lo Stato compiuto colpendo i suoi servitori, simbolo della tutela delle istituzioni, delle garanzie  democratiche e della sicurezza di tutti. A questa provocazione risponde, appunto, lo Stato, l’intero apparato della sicurezza – investigativo e repressivo – rispondono la magistratura  e il sistema giudiziario, che hanno il compito di combattere ogni minaccia nei confronti dei valori e delle faticose conquiste della  nostra democrazia.

Il risveglio e la legittimazione di oscene pulsioni fasciste, con l’inevitabile contorno di razzismo, xenofobia, violenza e con le esplicite richieste di svolte autoritarie, limitazioni della funzione parlamentare e della partecipazione, esigono la stessa fermezza da parte dello Stato, delle istituzione, delle forze dell’ordine, ma richiedono, allo stesso tempo, una più ampia e matura mobilitazione delle coscienze, della società civile e di tutta la cittadinanza, affinché non possano mai contare su ambigue tolleranze e equivoche indulgenze di carattere ideologico, come è accaduto in passato, anche nella diversa stagione degli “anni di piombo”. L’azione ha, inoltre, la capacità di turbare l’ordine pubblico, tanto che è evidente a tutti la sua natura provocatoria tesa proprio ad animare una contrapposizione di piazza

Non ci appassiona la lettura proposta da chi vorrebbe “storicizzare” il fenomeno, per dimostrare che le società contemporanee sono ben lontane dai modelli del passato, scontando l’inevitabile rischio di non cogliere i numerosi segnali di radicalizzazione delle destre in ambito europeo, che evidenziano, invece, l’estrema attualità e vitalità del fenomeno.

Nessuna “sponda” può essere offerta a queste derive ideologiche, alimentate da chi fa della demagogia la propria bandiera e strumentalizza biecamente malessere, paura ed instabilità economica. Ciò che è ancora una volta a rischio è il vivere civile, il futuro dei nostri ragazzi, la democrazia conquistata dai nostri padri, che noi tutti siamo chiamati a salvaguardare e a trasmettere, ma la partita è oggi drammaticamente ancora più seria. Si dimentica troppo spesso che l’esclusione, il rifiuto, l’emarginazione e l’ottusa chiusura delle nostre società costituiscono terreno fertile anche per i fenomeni di radicalizzazione violenta che giustamente ci spaventano, ma che ci ostiniamo a combattere solo attraverso gli strumenti tradizionali di prevenzione e contrasto della minaccia terroristica. Diventiamo, così, più o meno inconsapevolmente, un ulteriore strumento nelle mani degli abili architetti del terrore. Coltiviamo disunità e conflitto sul nostro territorio, anziché rinsaldarci attorno ai valori su cui si fonda l’Occidente. E finiamo pericolosamente per ignorare che c’è già chi di tutto questo ha mostrato di sapere fin troppo bene approfittare.

Roma, 12 dicembre 2017

Enzo Marco Letizia

Editoriale_dic2017