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Il disegno di legge approvato dal Senato nello scorso mese di marzo ed attualmente sottoposto all’esame della Camera, benché apprezzabilmente volto a colmare quella che viene avvertita come una lacuna dell’ordinamento giuridico italiano, desta tuttavia numerose perplessità e riteniamo meriti ulteriori approfondimenti, volti a migliorare il testo dell’art. 613 bis, anche al fine di armonizzarlo con la nozione di “tortura” da tempo individuata in ambito internazionale.

Affinché sia garantito il conseguimento dei risultati che l’introduzione di tale fattispecie incriminatrice mira a perseguire, ci sembra indispensabile sottolineare una serie di circostanze fondamentali:

1. la necessità di abolire la tortura ed i trattamenti inumani, crudeli o degradanti emerge con forza alla fine della Seconda Guerra Mondiale, allo scopo di limitare la diffusione di strumenti volti ad annullare la dignità dell’essere umano. Da quel momento in poi, la legislazione internazionale ha costantemente confermato il divieto di ricorrere alla tortura quale principio fondamentale, valido non solo in tempo di pace, ma anche di guerra. Nessuna circostanza può quindi giustificare simili trattamenti: il loro utilizzo per estorcere informazioni, punire, costringere o intimidire qualcuno rappresenta una violazione del diritto internazionale;
2. la prima definizione completa di tortura è contenuta nella “Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone sottoposte a forme di tortura e altre pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti” del 1975, il cui art. 1 afferma:
“… torture means any act by which severe pain or suffering, whether physical or mental, is intentionally inflicted by or at the instigation of a public official on a person for such purposes as obtaining from him or a third person information or confession, punishing him for an act he has committed or is suspected of having committed, or intimidating him or other persons. It does not include pain or suffering arising only from, inherent in or incidental to, lawful sanctions to the extent consistent with the Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners. 2. Torture constitutes an aggravated and deliberate form of cruel, inhuman or degrading treatment or punishment”;
3. il dibattito che condusse all’approvazione del testo definitivo della Convenzione contro la Tortura (CAT) si confrontò con la necessità di distinguere la tortura dai trattamenti inumani e degradanti, stabilendo un continuum rispetto all’intensità delle sofferenze inflitte, in base al quale essa viene configurata quale forma più grave di trattamenti del genere citato. E’ ormai principio consolidato quello in base al quale, oltre alla gravità della sofferenza inflitta alla vittima, il criterio discretivo fondamentale è legato alla presenza di uno scopo, necessario alla configurazione del reato di tortura. Anche la giurisprudenza a livello comunitario si è consolidata intorno a tali principi (si pensi alla nota pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 18 gennaio 1978, nel caso Irlanda c. Regno Unito, serie A n. 25, nella quale è stata sottolineata la necessità di distinguere la nozione di tortura da quella di trattamento crudele, inumano o degradante, ai sensi dell’art. 1 della Risoluzione n. 3452 (XXX), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1975, che recita: “La tortura costituisce una forma aggravata e deliberata di pene o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti”), benché un successivo orientamento abbia sottolineato l’inopportunità di creare una gerarchia tra tortura e trattamenti inumani, al fine di evitare che ciò contribuisca a rendere maggiormente accettabili, e quindi ad incoraggiare, certi tipi di comportamento;
4. nella sua versione finale, l’art. 1.1 della CAT recita dunque:
“Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata d’aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate”;
5. analoga formulazione letterale è ribadita dal Regolamento n. 1236 del 27 giugno 2005, approvato dal Consiglio dell’Unione Europea.

Il testo della disposizione proposto con l’Atto Camera 2168:

1) non prevede il dolo specifico, né l’esclusione del reato di tortura per il dolore o le sofferenze causate dall’applicazione di una sanzione legittima;
2) presenta una scarsissima tipizzazione della condotta sanzionata, talmente generica da renderne di fatto assai ardua la concreta definizione da parte dell’interprete, così da suscitare ampie riserve in ordine alla reale compatibilità con il principio di tassatività della norma penale. E’, infatti, evidente che il concetto di acuta sofferenza fisica o psichica si connota in termini squisitamente soggettivi, tali da far dipendere la rilevanza penale della condotta dal maggiore o minore grado di resistenza o sensibilità della vittima a parità di azione offensiva lato sensu. Sarebbe, quindi, fortemente auspicabile un maggiore sforzo da parte del legislatore in sede di formulazione della disposizione in commento;
3) considera, quali modalità esecutive della condotta, le violenze e le minacce gravi, al pari dei trattamenti inumani o degradanti. Ci si chiede se tale previsione non si presenti di per sé ridondante, giacché il concetto di violenza nell’attuale elaborazione giurisprudenziale appare talmente ampio da ricomprendere certamente al proprio interno anche il trattamento inumano o degradante;
4) nel richiedere un sistema di condotte offensive, la norma finisce per rendere inapplicabile il reato di tortura ai casi di unicità d’azione, che tuttavia, per la loro gravità, per le modalità esecutive e, non ultimo, per gli effetti concretamente prodotti, andrebbero ricondotti nell’ambito applicativo del reato di tortura (si pensi, ad esempio, all’uso non reiterato di una forte scarica elettrica per estorcere una data informazione).

Così formulato, il reato di tortura finisce col perdere la necessaria autonomia rispetto ad una serie di previsioni normative che già oggi consentirebbero di punire le condotte nel medesimo ricomprese, creando, peraltro, nodi interpretativi assai difficili da sciogliere.

Al fine di scongiurare tale rischio, in luogo dell’introduzione dell’art. 613 bis come oggi concepito, potrebbe essere valutata la previsione di aggravanti specifiche in relazione a disposizioni incriminatrici già esistenti (ad es. lesioni, percosse, sequestro di persona, omicidio).
In alternativa, per garantire che la nuova norma si riveli in concreto idonea a sanzionare le condotte che si mira a voler reprimere, appare quantomai necessaria una sua profonda e seria rivisitazione.

Roma, 9 maggio 2014

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