67-berluSi direbbe che la critica alla manovra finanziaria del Governo sia stata sorprendentemente bipartisan. Da vari versanti, con differenti motivazioni, si è detto che si tratta di una manovra iniqua.
Non vogliamo entrare nel merito complessivo: è senz’altro vero che l’Italia come molti altri Paesi versa in condizioni di difficoltà, colpita da una crisi globale che ha travolto la finanza, (il cui mondo comunque resta troppo forte per soccombere), ma che ora penalizza il tessuto sociale soprattutto quello più vulnerabile. Vogliamo dare una spiegazione benevola della strategia economica del Governo: in una condizione di emergenza, cerca di barcamenarsi cercando di limitare i danni e ricorrendo a misure che assomigliano a cerotti troppo stretti su una ferita che si allarga, mentre occorrerebbe una manovra equilibrata che stabilizzi il bilancio compromesso da un pauroso ammontare del debito pubblico, stimolando però la crescita.
Come? Con la redistribuzione dei pesi fiscali. Con la lotta all’evasione. Con il taglio alle spese superflue.
Non vogliamo qui pronunciarci in merito all’inquità della strategia finanziaria del Governo. Ma in merito alla sua contraddittorietà, abbiamo qualcosa da dire. La richiesta di redistribuzione, è stata delusa: non si devono mettere le mani nelle tasche degli italiani e così è stata ignorata l’istanza largamente condivisa di politiche di prelievo più eque. Le misure di lotta all’evasione previste dovrebbero portare a un recupero di otto miliardi, stante la previsione di bilancio. Una cifra irrisoria rispetto a un’evasione di 120 miliardi destinata a crescere.
Da parte di tutti settori si sottolinea come una delle priorità strategiche del Paese sia rappresentata dalla sicurezza. Che non significa solo salvaguardare gli standard di lotta alla criminalità, ma la difesa di diritti democratici, di condizioni di pari accesso alle opportunità e alla cittadinanza, quindi anche la difesa di requisiti di uguaglianza e equità all’origine o conquistata con il lavoro, l’appartenenza allo stato sociale, l’esercizio di doveri.
Si tratta di principi solo apparentemente elementari. Il nostro Paese registra un pericoloso innalzamento dei livelli di tolleranza dell’illegalità e dei comportamenti trasgressivi. Favorita anche dall’indifferenza colpevole e dalla sostanziale impunità nei confronti di atteggiamenti che erodono la coesione sociale, la crescita armoniosa ed equa, condizioni paritarie di accesso a servizi, beni e conoscenza. Che non si conduca una efficace lotta all’evasione, così come a forme più o meno vistose e pesanti di illegalità, che si tratti di malcostume, di procedure di affidamento irregolari, di clientelismo, fino alla occupazione di intere porzioni del nostro territorio da parte della criminalità organizzata, significa contribuire alla compromissione della stabilità sociale, e quindi all’insicurezza. E non sviluppare strumenti di lotta a questi fenomeni, tagliare sulle risorse destinate alle risorse umane e strutturali che dovrebbero operare sul territorio, in difesa della sicurezza e dei diritti democratici, primo tra tutti un futuro di benessere ed armonia sociale, significa essere sordi alle istanze dei cittadini ed indifferenti alle legittime richieste di chi ogni giorno per quelle aspettative lavora al limite, ed oltre, al sacrificio personale. Accrescere e rafforzare gli strumenti e le professionalità che sul territorio ogni giorno sono al lavoro per il ripristino ed il rispetto della legalità, significa investire in sicurezza, democrazia, salvaguardia dell’interesse generale, che vuol dire anche contenere e contribuire a recuperare l’immensa dissipazione di risorse dell’evasione, del lavoro nero, dell’illegalità che vengono sottratte al Paese e alla società.
E’ con grande disappunto che siamo costretti a rilevare che le nostre ripetute raccomandazioni a non trascurare il necessario impegno sul fronte degli investimento per la sicurezza e la legalità sono state disattese. Eppure su questo fronte così come su quello relativo alla legge sulle intercettazioni, abbiamo voluto interpretare – ben prima che un interesse di tipo corporativo – una trasparente e tenace attenzione alla tutela del bene generale, che è già fortemente minacciato e leso dall’impoverimento di servizi e strutture, dal progressivo invecchiamento e dalla ineluttabile disaffezione del personale, dalla trascuratezza dimostrata verso le potenzialità, in termini di modernizzazione e efficienza, costituite dal contributo dei nostri lavoratori e delle tecnologie alla lotta all’illegalità e alla criminalità.
Per riconfermare il nostro impegno a collaborare alla scelta di soluzioni indirizzate alla soddisfazione delle aspettative della collettività e alla loro tutela, abbiamo indirizzato una lettera al Ministro con le nostre osservazioni, poiché particolarmente colpita dai tagli è proprio la categoria dei funzionari di polizia.
Ci auguriamo che le nostre raccomandazioni trovino ascolto. In caso contrario ci impegniamo a farle circolare per trovare ascolto presso la cittadinanza nel cui interesse lavoriamo ogni giorno con abnegazione e sacrifico. E a mettere in atto tutte le azioni necessarie per indirizzare i riflettori sulle nostre istanze, fermi restando i capisaldi di rispetto delle regole, di salvaguardia dell’ordine, di conservazione degli interessi dei cittadini, dei loro beni, della loro integrità. Ma proprio in loro nome, sentiamo l’obbligo di difendere le nostre richieste per difendere la loro armoniosa e libera convivenza.
Noi abbiamo il diritto di lavorare sereni.