60-sbarchi_lampedusaCarico di auspici e di quattrini (sino a 300 milioni di euro di aiuti, alcuni praticamente in dono), il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, assieme al Ministro Maroni, si è recato a Tunisi nel tentativo di concludere la trattativa, in corso ormai da alcuni mesi, con le ancora precarie autorità tunisine. E’, tuttavia, ritornato in Patria senza avere conseguito apprezzabili risultati, se non la vaga promessa, da parte del governo di transizione, di esaminare la questione. Lì è rimasto, per le negoziazioni ad oltranza, il prefetto Rodolfo Ronconi.

Eppure, il nostro Capo del Governo, a seguito della telefonata col Presidente Sarkozy, con il quale era stata concordata la definizione di una strategia condivisa, nel corso di un vertice interministeriale, poteva apparentemente contare su un significativo corroborante e probabilmente anche sul conforto della decisione UE di “dare una mano”, a condizione che l’Italia si allinei accettando di integrare la propria politica in materia di immigrazione con i contenuti che emergono dalle risoluzioni europee in tema di aiuto umanitario, primo tra tutti il cosiddetto permesso temporaneo.

Il giorno dopo, il Ministro dell’Interno Roberto Maroni raggiunge a Tunisi il Direttore dell’Immigrazione ed i due strappano un compromesso che, secondo quanto affermato, “ci consentirà di chiudere i rubinetti” dei flussi di immigrati irregolari – sono parole del Ministro Maroni – attraverso interventi “che intendiamo fare in piena collaborazione con le forze di sicurezza tunisine, collaborando e fornendo loro tutti i mezzi necessari”.

Sull’immigrazione restano aperte questioni nodali.

Il Governo continua ad apparire diviso sulla linea da seguire nella gestione dell’emergenza. La Lega non accetta l’attivazione di un meccanismo di distribuzione dei clandestini nei diversi Paesi europei, a seguito del rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo, considerandolo sostanzialmente “una sanatoria”.

“Clandestini fora dei ball”, ribadisce Roberto Calderoli, riecheggiando Bossi: “Se qualcuno la pensa diversamente, ospiti i clandestini a casa sua”, aggiunge. Per tranquillizzare i propri elettori sul fatto che “al Nord non verranno approntati nuovi CIE”, a Milano Salvini e Borghezio guidano una protesta davanti al consolato e avvertono: se non si riuscirà a “rispedire a casa” i clandestini “con le buone, lo faremo in altri modi”,. Tali dichiarazioni avranno inciso,non poco, anche nelle intese con il governo tunisino. Siamo pronti a scommettere che avranno ripercussioni anche sull’attuazione delle stesse. Dopo appena due giorni dalla sigla del “processo verbale” a Lampedusa sono già arrivati 460 tunisini, con mare forza 4.

Restano, dunque, tutte irrisolte le tensioni relative alle strategie ed alle soluzioni pratiche attraverso cui fronteggiare l’emergenza e sulla concentrazione degli immigrati al Sud, che ha portato alle dimissioni di Alfredo Mantovano.

L’opposizione sembra aver ripreso coraggio, benché le regioni “amiche”, salvo la Toscana, si mostrino piuttosto riottose sul versante dell’accoglienza. Per non parlare dell’Europa che ha accettato obtorto collo la necessità di fornire un concreto appoggio.

Né può essere sottovalutato l’episodio in cui è stato protagonista Giulio Golia, uno degli inviati più celebri della nota trasmissione di Italia uno, “Le Iene Show“, durante il suo ultimo servizio sull’immigrazione. La “iena” stava realizzando un servizio su come vengono accolti e su come vivono realmente gli immigrati in Italia: si confonde con gli altri tunisini e si camuffa da immigrato. Da alcuni viene aiutato e gli vengono offerti pure cibo e acqua. Ma, ad un certo punto, si avvicina ad un’abitazione per chiedere dell’acqua e il proprietario, per tutta risposta, imbraccia un fucile e comincia a sparare. Golia è riuscito a salvarsi solo perché ha avuto la prontezza di fuggire mentre l’uomo era intento a caricare l’arma.

“L’Italia è un Paese di migranti. Dobbiamo ricordarcene. E dobbiamo mettere in atto azioni di comprensione e generosità che sono proprie di un Paese civile e cattolico”. Così il Premier ieri ha inaugurato la linea dell’accoglienza: “Stiamo intervenendo con il pragmatismo che ci è consueto”, rivendica. “Io c’ho messo la faccia andando a Lampedusa” e se gli immigrati sono ancora sull’isola è perché “si è messo di mezzo il mare con il vento che ha soffiato per due giorni a 40 Km all’ora. Ora che calerà potremo far salire sulle navi i clandestini e per domani sera ridaremo Lampedusa ai suoi cittadini”. Ma “non vi sono disfunzioni né per il vitto, né per l’acqua”. Dei 21 mila arrivati dall’Africa, spiega Berlusconi, 2 mila sono profughi, 19 mila “economici, cioè migranti in cerca di lavoro”. Di questi, alcuni si punta a rimpatriarli, in accordo con Tunisi, altri ad avviarli verso diversi Paesi, grazie alla “concessione del permesso di soggiorno temporaneo”. Infine, per il “dovere di ospitalità” del nostro Paese, “se restassero novemila nuovi cittadini basterebbe distribuirne uno per ciascun Comune” e trovargli lavoro non sarebbe un problema.

Non è facile comprendere e definire l’atteggiamento del nostro Governo.

Esso chiede solidarietà e collaborazione agli altri Stati, avendo, però, sino ad ora perseguito una politica estera imperniata su alleanze opache, patti “servizievoli” anche con leader affini per lo sprezzo della democrazia e dei diritti, chiudendo un occhio sulla lesione dei diritti in danno dei migranti da parte dei paesi stranieri, lagnandosi se poi viene emarginato dal tavolo dei “Grandi”, una volta esauriti la popolarità e il consenso di certi governanti.

Inoltre, il Governo chiede giustamente sostegno internazionale per avviare strategie comuni di intervento in loco e intanto, nel momento più sbagliato, ha operato tagli disinvolti alla spesa pubblica, come quelli ai danni del comparto sicurezza, ai fondi per la cooperazione allo sviluppo, proprio in virtù di quella consolidata inclinazione a risolvere i problemi sulla pelle dei diseredati e grazie a accordi da suk e a scambio di favori tra potenti.

Reclama la cooperazione delle Regioni, operando, tuttavia, una discriminazione preventiva: conferma esoneri dagli obblighi per quelle del Nord, dove gli immigrati presenti sono in larga parte regolari, contribuiscono al sistema pensionistico del paese, costituiscono una forza lavoro di cui non si può ormai fare a meno e rappresentano una ricchezza e un’opportunità in un paese sempre più vecchio. Per contro, carica di oneri insopportabili le regioni del Sud, già fortemente provate dalla gestione dei continui sbarchi, da un elevatissimo tasso di disoccupazione, dall’assenza di reale progettualità politica e nelle quali, conseguentemente, crescono intolleranza ed esasperazione.

Con ciò sperando di far dimenticare la vera natura di un affaccendarsi che nasconde, da un lato, la necessità di tener buoni tutti gli attori nell’arena della crisi: elettori, ostili, renitenti, soci in affari, dall’altro, quella di soffiare negli occhi un po’ di polvere per far finta di essere attivi, se non nel prevenire, almeno nel fronteggiare a fatica l’emergenza, peraltro prevedibile, annunciata, alimentata, ma ugualmente ingovernabile per le dimensioni.
Tanto che restano sostanzialmente disattese le proposte di chi cerca di risolvere i problemi con una buona percentuale di efficienza e una discreta quota di civiltà: un albergatore di Verona, o monsignor Crociata che ha comunicato per conto della Cei che “come Chiesa italiana attraverso le diocesi e le strutture della Caritas, abbiamo individuato 2.500 posti disponibili per accogliere altrettanti immigrati in 93 diocesi italiane”. Fortunatamente in Toscana si sta applicando il progetto di ospitare centinaia di migranti presso strutture di località diverse e in gruppi di poche decine, certamente più gestibili sotto il profilo della sicurezza, poiché nelle tendopoli è altamente probabile che la massa di immigrati risenta maggiormente delle tensioni fino al punto di scatenare rivolte e fughe di massa, come peraltro avvenuto a Manduria. E’ ancora vivo il ricordo dell’episodio di ribellione innescato da un immigrato che ha tentato di darsi fuoco per protesta, nel corso del quale, per altro, il Dirigente dell’Ufficio Immigrazioni della Questura di Taranto, il collega Antonio Calcagni, è rimasto ferito al volto.

Dopo l’intesa raggiunta dal Ministro Maroni, l’auspicio è che, superata questa fase di “emergenza tunisina” ci si possa finalmente occupare dei veri problemi connessi all’inarrestabile fenomeno migratorio. L’Italia, per la sua posizione strategica, è fatalmente destinata a dover sopportare e gestire oneri particolari, che non appartengono agli altri Paesi europei.
Ciò nonostante, insufficiente si rivela l’impegno sul piano della cooperazione internazionale, con la conseguenza che le centinaia di interventi quotidiani delle Forze dell’ordine – attivamente impegnate nella prevenzione e nella repressione dei reati connessi all’immigrazione clandestina ed all’incontrollata presenza di nutrite comunità di diversa etnia e provenienza geografica su varie parti del territorio nazionale, prive di qualunque assistenza e spesso stabilmente dedite, anche per questo, al compimento di attività illecite – finiscono inevitabilmente per non esser portati ad effettivo compimento. Il Governo, inadempiente agli obblighi comunitari (il 24.12.2010 è scaduto il termine di recepimento della Direttiva 115/08/UE che disciplina norme e procedure comuni agli Stati membri per il rimpatrio di stranieri irregolari), continua a confezionare provvedimenti normativi che ampliano il novero delle sanzioni penali, con conseguente appesantimento del sistema giudiziario, un rigore che in realtà è sprovvisto di una reale efficacia.
Rispetto al numero reale delle identificazioni e degli arresti di immigrati in posizione irregolare, del tutto eccezionale si rivela, poi, il rimpatrio degli stranieri, pur a fronte del compimento dell’iter amministrativo previsto. Pressoché costantemente, a seguito del processo per direttissima (assai spesso per reati predatori, con l’irrogazione di condanne a pene di norma modeste ed immediata reimmissione in libertà), nonostante il “Nulla osta” all’espulsione lo straniero resta comunque sul territorio nazionale ed elevatissimo è il rischio di recidiva, con intuibili ripercussioni sulla sicurezza pubblica. Mancano i posti nei CIE. Mancano, o restano praticamente inefficaci, le intese finalizzate ad assicurare la cooperazione coi Paesi esteri, per la compiuta identificazione degli stranieri irregolari, privi di documenti di identità, che costituiscono la stragrande maggioranza dei soggetti individuati dalle Forze di Polizia, le quali sopportano gli oneri organizzativi connessi alla gestione di interventi la cui effettività resta di norma assolutamente frustrata dall’assenza di strumenti concreti, sul piano pratico.
E così, ancora una volta, gli operatori della Polizia di Stato finiscono col dover scontare inefficienze, deficienze, carenze e tensioni che spetterebbe ad altri gestire ed affrontare con la dovuta lungimiranza, nel necessario rispetto dei diritti e delle esigenze dei soggetti comunque più deboli, affrancandosi da slogan che, oltre ad apparire di dubbio gusto, ci sembrano distanti anni luce dai principi di civiltà giuridica e solidarietà sociale faticosamente conquistati, cui il nostro ordinamento deve orgogliosamente continuare ad ispirarsi.

Enzo Marco Letizia