INQUISIZIONE DI CONFINE

È inquietante quando normali indagini e le indiscrezioni che le accompagnano, sembrano intese a offrire una verità forgiata per confermare i pregiudizi e per alimentare sospettosa malevolenza nei confronti dell’obiettività delle forze dell’ordine.
Sembra essere questo il caso di Carlo Baffi dirigente dell’Ufficio Immigrazione, indagato per omicidio colposo di una immigrata irregolare, che si è tolta la vita durante il rimpatrio, già “condannato”, almeno dalla stampa, di un delitto premeditato per via di alcune letture che ne avrebbero condizionato coscienza e professionalità.
Dalla sua ricca biblioteca sono stati prelevati testi di Mein Kampf e libri sul nazismo, di marca revisionistica, insieme a volumi che vengono visti come riferimento culturale per la destra razzista. Sono invece stati trascurati – non fornivano materiale di prova evidentemente – libri del filone filosofico marxista leninista e sulla storia del movimento operaio.
Si tratta di letture che per una ricostruzione doverosamente imparziale della personalità dell’indagato potrebbero denunciare al contrario interesse per i fenomeni che si devono conoscere e interpretare nell’ambito della propria professione, soprattutto in un tempo presente complesso per la persistenza conflittuale di ideologie più forti delle idee, mentre dovrebbero preoccupare di più l’ignoranza o l’indifferenza.
Peraltro è assolutamente fisiologico per un funzionario che, come il collega Baffi, ha prestato servizio presso una Digos tenga nella propria biblioteca volumi che si rifanno al pensiero sia di estrema destra fino a quello nazista sia all’ideologia di estrema sinistra.
Il passato ci dice che i momenti storici nei quali si ha paura della conoscenza e dei libri che la promuovono, denunciano che la malattia del pregiudizio ideologico sta diffondendosi pericolosamente. E che è il momento di stare in guardia, perché la criminalizzazione del sapere penalizza la consapevolezza, intimidisce la partecipazione e nuoce inevitabilmente a quella democrazia che siamo incaricati di tutelare.
Ma è ancora più allarmante che si utilizzi questa diffidenza nei confronti della curiosità per i fenomeni, per l’approfondimento di epoche storiche e ideologie che hanno agitato moltitudini, per nutrire preconcetti che indeboliscono il sistema di garanzie e i suoi uomini. Serpeggia un sentimento sospettoso e tossico nei nostri confronti che deve preoccuparci nel timore che vada ad alimentare un pensiero comune che in tempi meno avvelenati dalla crisi, vedeva in noi un baluardo ancora credibile e “vicino” a fronte di una perdita di autorevolezza della politica e perfino delle istituzioni. Tante volte i nostri vertici insieme all’Associazione hanno denunciato la difficile condizione della Polizia, ultimo anello- su cui si rovescia la gamma del malessere sociale fino all’antagonismo violento – di una catena di inadeguatezze, inazione e impotenza della “politica”. Il nostro ruolo sociale, quello di garanzia, ma anche quello di radicamento sul territorio, tra la gente, la nostra vocazione all’ascolto, il nostro dovere di assistenza, che perseguiamo con tenacia in assenza di riconoscimenti professionali ed economici, sono continuamente e duramente messi alla prova in presenza di una crisi che è economica, ma che è una emergenza morale e culturale, per via della perdita di valori, certezze, principi fondanti che fanno parte del cammino ancora giovane della nostra democrazia. Dopo l’imposizione di modelli culturali e sociali imperniati sul consumo e sull’accumulazione di beni superflui, quando vengono a mancare anche i mezzi per quelli primari si insinua nella società il senso del tradimento delle aspirazioni. Ma ancor più crea terribile incertezza la sensazione che insieme alla messa in discussione dell’accesso e del godimento responsabile dei beni comuni e che insieme alla limitazione di alcuni diritti del lavoro sia davvero ristretta la visione del futuro.
È un sentimento amaro che mette gli uni contro gli altri, rompe patti tra generazioni, attenta a vincoli familiari, gli stessi che in questi anni hanno protetto il Paese dall’ impoverimento e dalla tentazione di affidarsi all’illusorio gioco d’azzardo della finanza più rischiosa. Ed è facile in questo contesto attribuire colpe e responsabilità quanto rifiutarle. Così come è più appagante nel clima di frustrazione costruirsi un nemico, quello che si ha di fronte, magari in piazza, indifferenti che viva gli stessi problemi e le stesse privazioni, ma che spetti una funzione che non permette defezione o ribellione, nell’interesse generale.
Ecco tutti noi non vorremmo che in nome del nostro spirito di servizio, della nostra consolidata inclinazione ad anteporre al nostro interesse quello dei cittadini, venissimo trasformati in capri espiatori, diventassimo gli inevitabili bersagli identificabili dell’animosità di una collettività che si sente tradita dalla politica e che – anche da certe distorsioni dei media – viene indirizzata verso un obiettivo immediato e facile.
Anche tra noi c’è chi sbaglia e siamo i primi a volere quella trasparenza che guarisce dai germi patogeni e quella giustizia che aiutiamo perseguire con il nostro operato. Ma con altrettanta tenacia ci prefiggiamo di contribuire sempre all’affermazione della verità, liberandola dal velo dei preconcetti e senza la quale la giustizia e l’indipendenza nel giudizio sono minacciate e irraggiungibili.

Roma, 14 maggio 2012

Enzo Marco Letizia

EDITORIALE: INQUISIZIONE DI CONFINE